Il 29 gennaio scorso, il sociologo Nestar Tosini aveva pubblicato una ricerca, da lui sviluppata in esclusiva per L’Incontro, dal titolo: “L’affaire Juventus come cartina di tornasole della società italiana”. Lo studio non prendeva in considerazione aspetti legali, ma si concentravo sulle conseguenze mediatiche e d’immagine della vicenda per la Juve stessa, il Calcio italiano e l’intero sistema Italia. Diverse le reazioni. Ne pubblichiamo qui di seguito due. La prima, del nostro editore, Riccardo Rossotto, analizza da un punto di vista tecnico legale l’affaire Juventus.
“Una condanna pesante e ingiusta: questo, nella sostanza il commento più frequente che aveva accompagnato la sentenza di 1° grado, non solo da parte dei tifosi juventini. Leggendo le motivazioni di quella decisione, sorge il dubbio che possa essere soltanto l’inizio di un’altra serie di sanzioni/condanne che potrebbero arrivare a carico della Juventus da parte del Tribunale Penale di Torino, da parte della UEFA o da parte della stessa Federcalcio sull’altro tema relativo alla gestione degli stipendi dei giocatori (su questo ultimo filone di indagine, il Procuratore Federale Chiné ha chiesto una proroga di ulteriori 40 giorni per completare le indagini). La motivazione della decisione di 1° grado ci apre gli occhi e ci impone una riflessione più ampia sul mondo del pallone.
Il perché di un verdetto pesantissimo
A differenza della precedente assoluzione del maggio scorso su una fattispecie analoga, questa volta i Giudici Federali, dopo aver esaminato il dossier dell’inchiesta denominata Prisma della Procura di Torino, hanno accertato un quadro “fattuale” che ha portato a una decisione peggiore rispetto alla richiesta del Procuratore Federale.
In particolare, i Giudici Federali hanno accertato che i dirigenti della Juventus hanno fatto sistematicamente ricorso allo strumento delle plusvalenze fittizie, realizzando tutta una serie di condotte volute, programmate e con gli organi societari consapevoli, che hanno sostanzialmente portato alla redazione e approvazione di bilanci non veritieri con la connessa violazione di principi contabili e anche sportivi. Violazioni che hanno portato a una distorsione dei risultati sportivi del campionato in corso: “Il Consiglio di Amministrazione nel suo complesso ha condiviso o quantomeno sopportato tali violazioni”, si legge nella decisione.
Tali condotte d’altronde, secondo i giudici, sono state ammesse dagli stessi protagonisti e confermate da numerose telefonate oggetto di intercettazioni che hanno il valore di confessioni. La circostanza che la Juventus sia anche una società quotata in Borsa ha ulteriormente aggravato la fattispecie. In riferimento alle altre squadre assolte, i Giudici Federali hanno ritenuto che non ci fossero prove concrete dello stesso disegno criminoso: singole compravendite furono effettivamente molto dubbie a livello di valutazioni dei giocatori, ma i giudici hanno riconfermato che, di per sé, è difficile avere una valutazione oggettiva del valore di un giocatore tesserato. Esistono pochi margini per sperare in una riforma della decisione in appello, che sarò fondata esclusivamente su questioni di diritto.
L’unico aspetto sul quale potrebbe esserci uno spiraglio di accoglibilità potrebbe essere quello relativo all’esistenza degli estremi della revocazione (riapertura del procedimento per fatti nuovi emersi dopo un’altra decisione) a causa di un ritardo da parte del Procuratore Federale nell’avviare l’istruttoria che ha portato alla decisione di 1° grado. Staremo a vedere.
Il modello di business non sta più in piedi!
Il caso Juventus, ma anche quello delle altre società assolte, dimostra drammaticamente che il modello di business delle società del mondo del pallone non sta più in piedi. Costringe gli amministratori a ricorrere a condotte illecite, a sotterfugi contabili, per cercare di costruire dei bilanci che apparentemente dimostrino solvibilità e risultati positivi.
L’auspicio è che questo contenzioso, tutt’altro che finito, costringa davvero tutti i dirigenti federali sportivi di tutte le società professionistiche, a condividere la necessità di una rivisitazione globale e condivisa delle regole del gioco, con banalmente l’introduzione di principi già ampiamente discussi in diverse occasioni come il Salary Cap, un Fair Play amministrativo e bilancistico controllato molto più rigorosamente dalle autorità di vigilanza, una buona fede dei responsabili delle società professioniste a gestire il conto economico in modo veritiero, trasparente e accurato. Un’utopia? Ci si augura di no perché in caso contrario il fallimento del sistema non è poi così lontano”.
Un punto di vista alternativo
L’altro intervento è di una signora che, per motivi professionali, ha lavorato in stretto contatto con il top management Fiat e che preferisce mantenere l’anonimato.
“Buonasera, Direttore. Ogni volta che leggo la scoperta di malaffare, generalmente protratto nel tempo, la prima cosa che mi viene in mente è quanto sono scemi coloro che dovrebbero controllare che non ci sia malaffare. Il problema italiano è il controllo e ‘l’ingenuità’ di non sapere che ogni meccanismo nasce, cresce, raggiunge un apice, si corrompe inevitabilmente e, se tutto va bene, decade. Se non va bene, diventa metodo scabroso consolidato e poi hai voglia prima di scoprirlo e punirlo. Non mi meraviglierei se tutte le squadre, chi più chi meno, usassero gli stessi meccanismi della Juventus. E penserei: è mancato il controllo nel momento dell’ascesa del meccanismo.
Non convengo sul fatto che ai tempi di Gianni Agnelli la Juventus avrebbe avuto un trattamento migliore grazie all’influenza dell’Avvocato. Sul personaggio ho sviluppato un’idea, parlando con molte persone che l’hanno davvero conosciuto: di solito le decisioni non le prendeva da solo. Il più delle volte seguiva fedelmente i consigli dei vari Gabetti, Grande Stevens, & Co, poi, che, secondo alcuni, erano i “veri” padroni della congrega Fiat, un blocco di società nelle quali loro erano presidenti dei consigli di amministrazione. A mio avviso, Gianni Agnelli non aveva nemmeno una grande mente strategica”.