Fin dagli anni Ottanta, quando studiavo marketing in Bocconi, ho ben chiaro che il lobbing può essere considerata una leva della comunicazione, e rientrare nella grande famiglia delle pubbliche relazioni. Non contesto il fatto che un lobbista sia un professionista specializzato nell’influenzare, per conto dei suoi clienti, le decisioni del mondo politico, sia a livello sovranazionale, sia nazionale, sia locale. E so bene che questa attività in alcuni Paesi è regolamentata e viene svolta alla luce del sole.

Lobbismo? No grazie

Ma, al di là di definizione tecniche e teoriche, il “lobbismo” ha nella sua accezione popolare e, più in generale nel modo in cui viene vissuto in Italia e in altri Paesi europei, un significato meno rassicurante. Innanzitutto lobby deriva dal latino laubia, che significa loggia. Termine associato strettamente alla Massoneria, istituzione che non brilla certo per trasparenza. Al di fuori delle regolamentazioni americane, in Italia le lobbies operano in vari modi. A volte distonici rispetto a quanto avviene negli USA. Uno dei più tradizionali si traduce nei cosiddetti “parlamentari di riferimento”. Praticamente ogni categoria ha qualche onorevole e/o senatore, che ne cerca di tutelare gli interessi.

Ma siamo sempre in un ambito tutto sommato accettabile

Il rapporto tra questi parlamentari e le categorie è il più delle volte palese. A volte questi parlamentari lavorano nei comparti che rappresentano e vengono eletti dai loro mondo di appartenenza. C’è chi proviene dai coltivatori diretti, chi dagli albergatori e così via.

Il livello successivo entra nella illegalità

È il caso, come nel Qatargate, in cui alcuni esponenti del Parlamento europeo o comunque personaggi influenti in ambito Ue, sarebbero stati corrotti (il condizionale è d’obbligo, siamo garantisti) per creare un clima favorevole all’Emirato mediorientale. Ma, siamo ancora in un ambito tutto sommato contenuto, in uno dei tanti casi di corruzione che da sempre si susseguono. A essere temute e a esercitare a mio avviso un ruolo deleterio, sono le lobbies intese (anche se forse non correttamente dal punto di vista strettamente tecnico-linguistico), come potentati economici che condizionano le scelte politiche proprio perché grazie al loro peso, alla loro rete di relazioni, sono in grado, pur senza ricorrere necessariamente alla corruzione propriamente detta, di condizionare il sistema. Un caso storico è quello della lobbies del tabacco.

Potenti gruppi finanziari non hanno bisogno di svolgere attività di lobbing

Fino a pochi decenni fa, la sua forza era tale che i danni delle sigarette, anche se noti, venivano minimizzati. Dai media mainstream, dai politici, dalla comunità scientifica. Mi ricordo di dibatti in cui medici dicevano che il rapporto tra fumo e malattie oncologiche e cardiologiche non era dimostrabile, e che una sigaretta poteva fare più bene che male, perché aiutava a rilassarsi. Con gli anni le lobbies (nel senso di “potentati”) sono divenute ancora più influenti, visti gli intrecci azionari che legano le società di un settore. Quando un giornalista di lungo corso, come Guido Mattioni, parla di Big Pharma, intendendo che le case farmaceutiche più che essere in concorrenza tra loro si muovono all’unisono, forse non ha tutti i torti. Durante la pandemia ci avevano fatto credere che tra Pfizer e AstraZeneca ci fosse una grande rivalità. Peccato che i media mainstream hanno trascurato (chissà perché) di dire che quattro dei primi cinque azionisti di AstraZeneca fossero anche tra i primi cinque azionisti di Pfizer.

Con la concentrazione della ricchezza che cresce vertiginosamente di anno in anno, ormai vi sono gruppi finanziari che controllano alcuni tra i settori più importanti. Case editrici, aziende farmaceutiche, industrie belliche e così via possono avere gli stessi azionisti di riferimento. E ci sono colossi che gestiscono patrimoni il cui valore complessivo supera del doppio il Pil tedesco. Questi gruppi finanziari, a volte legati tra loro da intrecci azionari, non hanno bisogno di svolgere attività di lobbing in senso tradizionale. Sono già loro i veri governi.

Milo Goj

Milo Goj

Milo Goj, attuale direttore responsabile de L’Incontro, ha diretto nella sua carriera altri giornali prestigiosi, come Espansione, Harvard Business Review (versione italiana), Sport Economy, Il Valore,...

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