Ci stiamo lasciando alle spalle un 2022 tremendo, tragicamente indimenticabile. Eppure gli indici economici sono sorprendentemente positivi.
Andiamo meglio delle previsioni
Migliori di molti nostri partner europei, leggasi Germania, Francia, Spagna. No, non stiamo dando i numeri: siamo reduci dalla lettura e analisi dei dati macroeconomici del nostro Paese alla fine di quest’anno e c’è da esserne orgogliosi. Nel marzo-aprile del 2022 tutti i maggiori enti internazionali avevano deciso di sforbiciare pesantemente le previsioni di crescita del nostro Paese. Dal gennaio 2022 quando si immaginava una crescita del PIL del 3,8%, l’Italia si vedeva ridurre la crescita ad una previsione tra il 2 e il 2,3%. Era scoppiata la guerra in Ucraina ed era logico immaginare uno sconvolgimento dei mercati con un trauma inflazionistico non banale.
I dati economici si sono sorprendentemente modificati
L’Istat in questi giorni ha registrato un aumento del nostro PIL del 3,9%, un dato superiore alle già alte previsioni del gennaio scorso. Udite, udite: l’Italia per la prima volta dagli anni ’80 crescerà come la Cina, più della Francia e della Germania. Insomma un risultato strepitoso che nel corso degli ultimi mesi nessuno aveva previsto. Ci era semmai capitato il fenomeno inverso: tutti i governi, di qualsiasi colore politico fossero, ogni anno avevano promesso una certa crescita che poi veniva irrimediabilmente ridotta a fine anno sancendo quel drammatico dato della “crescita zero”, come avvenuto negli ultimi vent’anni.
Quali le ragioni di questo sorprendente 2022?
E’ stato l’effetto irripetibile delle riaperture dopo il biennio di lock down e le proibizioni della pandemia? E’ stata una voglia di resilienza che ha scatenato i nostri imprenditori, sopravvissuti al disastro del biennio precedente? Oppure, dopo una pesantissima selezione all’interno del mondo delle nostre PMI, i sopravvissuti hanno dato un segnale preciso di come l’Italia potrebbe davvero rilanciarsi, crescendo, e conseguentemente aumentando l’occupazione e disinnescando la crisi sociale interna? La moderazione salariale ha sicuramente aiutato le industrie italiane a recuperare un po’ della competitività persa negli ultimi anni. Nello stesso tempo, la mancata crescita delle retribuzioni ha fatto sì che molti lavoratori stanno faticando per arrivare a fine mese. Sicuramente ha contaminato in modo positivo la situazione la politica economica del governo Draghi che ha indennizzato le imprese che avevano perduto fatturato a causa della pandemia.
… finalmente l’edilizia si è mossa
Nello stesso tempo, lo Stato si è fatto carico di pagare quella forza lavoro lasciata momentaneamente a casa a causa della crisi. Di qui l’aumento delle marginalità e la creazione di una cassa positiva che permette oggi alle imprese italiane di essere fra le meno indebitate nel mondo avanzato. I depositi sono cresciuti di oltre 100 miliardi di euro negli ultimi mesi. 420 miliardi di euro sono attualmente secondo la Banca d’Italia. Un altro dato che spiega il boom italiano del 2022 lo si riscontra nell’impulso dato all’economia dai bonus edilizia che, al di là delle truffe e degli illeciti, hanno comunque rilanciato un settore fondamentale del nostro Paese: l’edilizia.
Ed ora? Cosa ci aspetta nel 2023?
Il prossimo anno si presenta sotto diversi auspici. Dopo un biennio d’oro in cui la zoppicante Italia ha dato potenti segnali di ripresa, stiamo per iniziare un anno complesso, battezzato da una necessaria ma mal comunicata decisione della BCE di alzare i tassi di interesse. Tra l’altro, e qui sta il peggio della dichiarazione pubblica di Christine Lagarde, preannunciando ulteriori rialzi nel breve-medio termine quasi a voler riconvertire il famoso “Whatever it takes” di Mario Draghi in una analoga garanzia ma, in questo caso, relativa ai sicuri rialzi del costo del denaro nei prossimi trimestri. D’altronde la BCE statutariamente deve tutelare il valore dell’Euro e di fronte ad un’inflazione a due cifre che galoppa, non può che alzare il costo del denaro. Deve restringere la massa monetaria in circolazione sperando di gestire un rallentamento prima e una diminuzione poi dell’inflazione.
Sull’orlo di un nuovo credit crunch…?
Ovviamente con tutte le conseguenze da noi ben conosciute in termini di diminuzione della capacità di acquisto dei cittadini con particolari effetti devastanti soprattutto sulle classi sociali medio-basse. In questo quadro sicuramente non facile e probabilmente e prospetticamente negativo, si registrano già le prime reazioni dai vari settori dell’economia. Nel mondo bancario il principale sindacato parla già di un sistema “sull’orlo di un nuovo credit crunch”. “Nei primi 10 mesi dell’anno in corso i finanziamenti delle banche alle famiglie sono cresciuti in media del 2,6% contro un 1% di aumento dei prestiti alle imprese”. Secondo il FABI l’analisi dei dati a disposizione mostra segnali di preoccupazione e tensione per tutte le categorie.
Nel mondo delle imprese si registra infatti un calo dei prestiti rilevante. Nel solo mese di ottobre 2022 il monte prestiti è diminuito di quasi 10 miliardi portando lo stock totale a 667 miliardi di euro. I tassi medi si sono assestati intorno al 3,2% con un costo del denaro al 2%. Dopo la decisione della BCE si registrano già aumenti superiori al 5% con una previsione del 6% nel primo trimestre del 2023.
Ma non basta!
Tutte le agenzie nazionali ed internazionali che si occupano di registrare i dati del mondo dell’energia, rilevano che la spesa elettrica è diventata insostenibile soprattutto per le imprese del terziario. Ci sono aumenti di oltre 150% nel settore alberghiero e negli alimentari, oltre il 130% per la ristorazione. Per le famiglie la bolletta è raddoppiata da 24 a 54 miliardi. Per Confindustria il caro energia e l’inflazione erodono il potere di acquisto e rallentano i consumi delle famiglie aumentando il rischio di una stagflazione. Federico Fubini, sul Corriere della Sera, sottolinea che, nonostante i dati dell’ultimo biennio, il nostro Paese evidenzia ancora le sue croniche criticità. “Un’amministrazione costosa ed inefficiente, un livello troppo basso di ricerca e sviluppo, imprese, in media, di dimensioni troppo ridotte, una scuola inadeguata, un debito pubblico enorme, una demografia declinante”. Tutto ciò potrebbe dar luogo, come detto, al rischio di una stagnazione e cioè di una combinazione negativa di un’inflazione che non si riduce accompagnata da una recessione del sistema industriale.
Siamo più poveri e più anziani
Tutto ciò senza contare un dato, poco sentito e metabolizzato, che evidenzia un nostro colossale problema strategico: la bassissima natalità. “Siamo più poveri e più anziani” ha scritto Chiara Saraceno. L’invecchiamento del Paese ha sorpreso tutti per la sua velocità. “71 anni fa, nel 1951, in Italia per ogni bambino o ragazzo sotto i 15 anni c’era meno di una persona con 65 anni o più. Nel 2021 ce ne sono 5,4 (ed erano già 3,8 nel 2011). Questo dato, tratto dall’ultimo rapporto Istat, sintetizza bene la radicalità e velocità del mutamento demografico avvenuto nell’arco di una generazione”.
Concludendo e cercando di vedere il mezzo bicchiere pieno, proprio perché l’Italia ha dimostrato in questo biennio, smentendo tutti gli analisti di tutto il mondo, che non è irriformabile, forse possiamo farcela lo stesso. Potremmo anche sorprenderci di noi stessi. L’importante è avere un approccio positivo, credere nella ripresa del Paese con una visione sociale non miope.
Euro