Venti grandi tele realizzate tra il 2000 e il 2010 appartenenti al ciclo delle “Pietre Amanti” compongono la mostra “Bartolomeo Gatto. INVISIBILI PERCEZIONI. Dialogo tra Poeti” a cura di Luca Cantore d’Amore, aperta fino al 10 dicembre a Milano, nello Spazio Art Project di Marco Nereo Rotelli. Un ritorno nel capoluogo lombardo, città di cui per molti anni fu protagonista e animatore culturale con la sua galleria ‘Il Cigno’ in via Manzoni dopo aver frequentato l’Accademia di Brera e dove, nel 1968 da pittore sensibile e raffinato quale è stato, ha voluto che lo spazio di via Manzoni che aprì, fosse a disposizione anche di altri artisti, diventando così uno dei luoghi più frequentati da artisti, intellettuali, giornalisti degli anni ’70 e ’80.
L’esperienza del “Cigno” e il ritorno a Milano
Sebbene Bartolomeo Gatto abbia sempre concepito l’arte come un percorso che l’artista deve intraprende da solo, lontano da movimenti, manifesti e gruppi di artisti, Il Cigno arte contemporanea diventò una galleria e una rivista al centro dell’attenzione culturale milanese negli anni ’70. Impossibile ricordare tutti i partecipanti a questa esperienza; tra i nomi che frequentavano la galleria, c’erano Salvatore Fiume, Tran Tho, Gianni Dova, Bruno Cassinari, Giuseppe Migneco, Mino Maccari, Bernardino Palazzi, gli scultori Tinè e Janos Stryk. Tra i critici coinvolti nella rivista e nella galleria, Dino Buzzati, Mario Lepore, Everardo dalla Noce, Raffaele de Grada. Ma nel 1982 il richiamo della sua terra fu così forte da fargli decidere di chiudere improvvisamente tutto e tornare nella sua Salerno dove è scomparso lo scorso anno. Per iniziativa della Fondazione a lui dedicata, Bartolomeo Gatto torna con le sue opere a Milano accolto nello spazio di un altro artista proprio come lui aveva fatto nella sua vita.
Un collegamento tra i due artisti non casuale – sottolinea il curatore Luca Cantore D’Amore -. È la presenza della poesia, in entrambi, come minimo comune multiplo tra le loro creazioni artistiche e opere. C’è, alla base del lavoro di entrambi, un inafferrabile che ci sfugge via tutte le volte e non si fa catturare”. Marco Nereo Rotelli, frequenta le parole in modo assiduo e confidenziale, in modo netto, chiaro, potente, struggente, simbolico, significativo (…); Bartolomeo Gatto, invece, uomo che preferiva frequentare, adoperare e addirittura esistere dentro il silenzio, la monoliticità, l’ermetismo del sibilo, tace e ci lascia percepire la Poesia non attraverso le parole, ma attraverso le immagini”.
Il significato delle pietre
In queste tele per il curatore “c’è l’estate dell’anima di tutti noi. Quella in cui si custodiscono i ricordi più belli, più preziosi e più inscalfibili. Quelli immobili nella memoria, ma non inerti nel cuore. Nulla in questi macigni risulta pesante o insopportabile, perché paiono librarsi, capaci di elevarsi al cielo, perdono tutta la corpulenza e pare non siano più materia. E se alle pietre non è concesso il diritto dell’altrove, pare invece che quelle di Gatto se lo prendano questo diritto e fluttuando smascherino le fragilità degli uomini. Evidente è che la pietra per Gatto ha una pelle vibrante, calda e sensibile, i sentimenti sono presenti e le sue pietre sono capaci di creare grandi poemi visivi. L’”antropizzazione dell’inanimato” è una delle cifre ricorrenti l’opera di Gatto, le sue pietre “diventano umani che amano, soffrono, sognano, cadono, posseggono una loro storia che, con il suo talento, Bartolomeo Gatto racconta tutte le volte – su tela”.
L’amore per la natura e per la Sardegna
Le figure arrotondate e solide su tela sono i caratteri principali di queste opere: rappresentano le pietre dell’amata Sardegna, l’isola in cui l’artista ha passato lunghi periodi di tempo e che ha creato il suo stile personale. «Ho intrapreso con determinazione un itinerario fantastico. Mi sono cimentato come un bambino in un’avventura: ho osato un nuovo gioco con i colori, visitando spazi siderali, esplorando con nuova attenzione le pietre, mie amiche e compagne di tanti viaggi. Le pietre si librano nello spazio, si staccano dalla Madre Terra. Si accendono di colori inaspettati rievocando il concetto di libertà. Si muovono con apparente leggerezza mentre una forza invisibile le fa vibrare e le lega in un armonioso girotondo. È un movimento traboccante di vita!», affermava Bartolomeo Gatto.
L’artista dipinse paradisi di terra, masse colorate dalla luce, opere in cui il blu è il colore principale che iniziò ad utilizzare in senso totale: le sue opere precedenti, e altrettanto famose, erano piene di rossi, di viola, di turchesi e di gialli. Alcune di queste opere ‘in blu’, dal forte impatto metafisico frutto della sua ricerca poetica, furono esposte con grande successo all’Istituto Italiano di Cultura di New York nel 2007. Si tratta di “Confronto con il gioco di ricordi” (2005), “La via della Storia” (2003), “Picco amico” (2006) e altre opere presenti nella retrospettiva milanese. «Ho seguito questi quadri da quando sono nati, da Milano fino a ad arrivare in un bosco del Sud sulle colline di Salerno. Queste opere rappresentano una scelta di amore per la natura, come quella di ritirarsi a dipingere circondato solo da un bosco di lecci», afferma Adele De Santis, moglie e stretta collaboratrice che a settembre 2022 insieme ai figli ha dato vita alla Fondazione Bartolomeo Gatto con lo scopo di diffondere la conoscenza dell’opera e la vita dell’artista e conseguire scopi sociali, stimolando la produzione di giovani artisti, organizzando giornate di studio, intervistando o organizzando esibizioni personali e collettive, eventi con artisti o studiosi, promuovendo pubblicazioni dedicate. La Fondazione Bartolomeo Gatto ETS nasce anche dal bisogno di proseguire la sua ricerca valorizzando il rapporto che ha con la natura, con la sua terra, il Cilento, dove trova le sue radici.
Il percorso espositivo è arricchito da articoli e foto d’epoca che testimoniano l’intensa attività della galleria e la vita culturale della città nei decenni 1970 e 1980. Nato nel 1938 a Moio della Civitella (Salerno), piccolo paese dell’alto Cilento, Gatto nel 1953 si trasferì a Roma e dopo a Milano dove frequento l’Accademia di Brera. Nel 1960 A Bruxelles vince il premio “Les Artes en Europe“. A Madrid conobbe Salvador Dalì e a Milano incontrò più volte Giorgio De Chirico che vide le sue opere e si complimentò con l’artista per la “carica coloristica” che le animava. In oltre cinquant’anni di carriera realizzato oltre 200 mostre personali esponendo in Italia e all’estero.