In questi giorni (anzi, in effetti, in questi anni, in questi lustri, in questa era), si riapre la corsa (lenta più di una maratona cittadina, alla quale sembrano partecipare beginners già stanchi alla partenza) a ciò che rimane della Compagnia un tempo detta “di bandiera”.
I nomi cambiano (neanche tanto), le questioni restano
Irrisolvibili, apparentemente. La prima, fra tutte, quella della tutela del Sistema Paese e dell’effettiva nostra capacità produttiva. Ma non solo. Rimane presente anche la necessità, connessa alla prima, di poter avere disponibile un servizio di trasporto aereo tale da poter essere considerato all’altezza non soltanto del profittevole supporto alla tutela sistemica ma anche all’altezza delle giuste aspettative di qualità e adeguatezza che caratterizzano, oramai da tempo, la domanda proveniente dal mercato di riferimento. Quindi, dai passeggeri che a tale servizio si rivolgono, così come dagli operatori economici che scelgono, in modo forse ancora non pienamente sostenibile (visto che, al momento, in attesa del pieno raggiungimento dell’obiettivo previsto dall’Accordo di Parigi con il Net Zero 2050, il trasporto aereo rimane – nonostante gli alti sforzi e gli importanti investimenti effettuati a tal riguardo dalle compagnie aeree – caratterizzato da una non proprio piccolo livello di capacità di emissioni di CO2) di trasportare merci con tale modalità.
Tutela del Sistema Paese
Tutela del Sistema Paese, tutela delle aspettative di mercato, tutela, pertanto dei diritti connessi a ciò. Primo fra tutti, la libertà di circolazione, il diritto ad una mobilità anche sostenibile, così come quello di poter ottenere (peraltro e giustamente a titolo oneroso) soddisfazione degli interessi – non più solo collettivi, ma anche personali – alla libertà di spostamento e il diritto di libera impresa, di libertà di iniziativa economica (nonostante l’attuale era telematica che, in linea di principio e poi anche in via di fatto, come recentemente avvenuto nella vita di tutti noi, genera anche la possibilità di non-spostamento ma con profili di operatività che, parimenti, abbiamo sempre recentemente imparato essere non pienamente equiparabili alla presenza interpersonale degli interlocutori).
Tutela del diritto alla libera impresa
Tutela del diritto alla libera impresa che dovrebbe, pertanto, anche concedere ai soggetti la possibilità di scegliere come spostarsi e di poterlo fare liberamente: se non ho disponibile un volo diretto (se non di quelli appartenenti al network di altre compagnie straniere, la cui decisione di operare o non operare quel volo è di certo basata su principi ben diversi dalla tutela del nostro Sistema Paese) ho la necessità di impiegare più tempo per raggiungere la mia destinazione (in ragione dei relativi tempi di scalo nell’hub da cui decollerà il volo long haul) e, magari, più denaro per l’acquisto del relativo biglietto.
La gestione del trasporto aereo per valutare la politica industriale
Fra le tante voci che si sono levate, c’è chi ha indicato – finalmente in modo lucido – che la gestione del trasporto aereo è, pertanto, misura di politica industriale. Anche la libertà, la possibilità, l’opportunità di movimento per via aerea (non solo applicata al settore cargo ma, anche, a quello passeggeri) rende possibile la crescita o (per lo meno) la conservazione del livello di output di un Paese. Più che mai di un Paese come il nostro che – come molti altri – tenta di risollevarsi, di arrivare finalmente e da ultimo dove ha pieno titolo e piena idoneità di giungere effettivamente (non solo, pertanto, “a parole”, affermate, di volta in volta, da chi assume il ruolo di motivatore collettivo).
Riaperta la selezione del miglior offerente per l’acquisto di ITA Airways, sono state quindi – per la oramai innumerevole volta – manifestate dagli addetti ai lavori preferenze a vantaggio di uno o l’altro “gruppo” offerente. Meglio Lufthansa perché strutturalmente e operativamente aperta ad una gestione sinergica dei diversi mercati di riferimento. Meglio Air France-KLM (e Delta, con il loro partner finanziario Centares) perché strategicamente più vicine ad un rapporto di condivisione o anche solo sulla base di una benevola considerazione delle così tante volte in cui tale gruppo, già in precedenza, ha tentato di prendere il controllo di Alitalia, senza mai riuscirci però. Meglio il fondo Indigo Partners, proprietario del vettore low cost Wizz Air, perché rappresenterebbe una inclusione del vettore nazionale in una infrastruttura di trasporto aereo, già dedicata al medio raggio, con possibilità quindi di una futura espansione del network stesso verso destinazioni a più ampia percorrenza.
La revenue più rilevante si ottengono con i voli transoceanici
La tendenza ad esaminare le differenti proposte e il conseguente gradimento, rivelato da più di un commentatore esperto, a favore di uno o l’altro dei due “gruppi” in corsa rimane, però, sempre lontano e privo della considerazione di un coefficiente essenziale. La revenue più rilevante nel trasporto aereo (passeggeri) la si ottiene con il traffico long haul (quindi, con i voli transoceanici). Ciò in modo così evidente dato che percentuali rilevantissime della revenue di una compagnia aerea (capace, ovviamente, di operare tali collegamenti di lungo raggio) derivano proprio dalle vendite della biglietteria relativa. Ciò è tanto vero che anche il modello di trasporto aereo low-cost era, infine, giunto a voler tentare di rappresentare un’offerta emergente altresì per i voli a lungo raggio, sollevando, di conseguenza la questione della sostenibilità economica e del futuro dei vettori tradizionali per i quali, a questo punto, continuare a vincere la battaglia aperta sul lungo raggio è fondamentale per poter competere nella corrente era del così detto “iper-consolidamento” dell’offerta di trasporto aereo.
Entrare in un network low-cost progetto poco verosimile
Ma qui occorre osservare che tali tentativi non hanno avuto un grande successo, molti si sono rapidamente arenati. Pertanto, pensare alla possibilità di essere inclusi in un network low-cost per poter operare tratte di lungo raggio, non appare verosimile, non solo in ragione della capacità di trasporto che l’attuale flotta di ITA Airways ha la possibilità di disporre, ma anche in ragione delle sostanziali modifiche di cui tale network avrebbe bisogno per poter pensare (in modo, forse, ridicolo) che l’hub di tale network possa un tempo divenire un aeroporto nazionale (valga a tal riguardo pensare che i tentativi di far divenire Milano-Malpensa un hub secondario, posti in essere addirittura da Lufthansa circa un decennio fa, sono stati rapidamente archiviati).
La strategia di Lufthansa
A ben vedere, poi, di contro a quanto osservato da alcuni, la presenza di più hub tedeschi (oltre a Francoforte, si pensi a Monaco ed anche all’aeroporto di Düsseldorf che è il principale hub decentrato di Lufthansa in Germania, nei quali tale vettore è riuscito, con i denti, a difendere il suo posizionamento, anche e soprattutto contro gli attacchi delle compagnie low cost o no-frills che dir si voglia, arrivando anche, come avvenuto con Eurowings, a controllarli in parte, al contrario di quanto invece è accaduto nel mercato italiano, nel quale i vettori low-cost hanno immediatamente azionato e continuano tuttora ad azionare una diretta e serrata concorrenza contro il nostro vettore nazionale, qualunque esso fosse) non fa altro che incrementare la propensione di Lufthansa ad impossessarsi di una compagnia (in questo caso ITA Airways) che operi voli di “feederaggio” verso quegli hub.
Voglia di vaggiare all’estero
Da tali hub sarà poi la compagnia “padrona”, nella sostanziale maggioranza dei casi, a continuare i voli a più alto margine di profitto, riempiti anche con i passeggeri lì trasportati dai voli sussidiari di apporto (provenienti, nel nostro caso, dal mercato italiano) e viceversa.
Questa è una policy – divenuta di sopravvivenza nel mercato del trasporto aereo – applicata da tutti i vettori c.d. major/full service, non solo tedeschi ma, pertanto, anche francesi e olandesi. Inoltre, la considerazione che il mercato tedesco possa essere definito come prevalentemente outbound e quindi sinergico con il nostro, più marcatamente inbound, non fa in fondo la differenza con quella che, invece, appare essere identica caratteristica dei mercati francese ed olandese. Da tali mercati, peraltro e forse più, anche nei periodi immediatamente successivi alla fase intensa della pandemia, i dati di traffico allora in fase di ripresa mostravano, infatti, una frequenza di spostamenti aerei superiore alla media degli altri paesi europei. In altre parole, che anche dalla Francia e dall’Olanda si parta per viaggiare all’estero (è questo il traffico oubound) è argomento oggettivo ed indiscutibile: ciò, peraltro, da sempre.
La difficile rincorsa per recuperare i livelli pre lockdown
Le cessioni di aerei e la conseguente, a volte sensibile, riduzione in percentuale della flotta avvenuta, necessariamente, durante il lockdown e nel periodo a seguire sono state apparentemente più consistenti per Lufthansa piuttosto che per Air France e KLM, visti anche i problemi che, recentemente, sono sorti in capo a Lufthansa per l’incapacità di soddisfare appieno la domanda di trasporto aereo, di nuovo in fase di ripresa e poi cresciuto effettivamente, fino a tendere nuovamente ai livelli esistenti prima del lockdown. Da ciò, pertanto, la necessità per il vettore tedesco di andare a ricostituire subito e appieno la capacità di trasporto (in altre parole, aumentando nuovamente il numero di aerei nella propria flotta), senza magari attendere il concretizzarsi delle opzioni probabilmente dallo stesso vettore posizionate sui produttori Airbus e Boeing per la ricostituzione della propria flotta ai livelli pre-pandemia. Necessità questa da cui deriva, quindi, la convenienza e la esigenza del vettore tedesco (come, del resto, magari in parte più contenuta, anche degli altri vettori) a recuperare sul mercato capacità, soprattutto di medio raggio, allo scopo di “nutrire” i propri hub a vantaggio dei più profittevoli voli di lungo raggio, che saranno invece e di tutta evidenza operati direttamente.
Quale potrebbe essere il futuro di ITA Airways?
Sia chiaro, un tale interesse è del tutto simile a qualsiasi altro vettore aereo internazionale che, quindi, non si comporterebbe diversamente dal vettore tedesco. Tutti gli argomenti che sono stati utilizzati per sostenere una scelta piuttosto che un’altra sono, a ben vedere, clonabili e perfettamente ripetibili per tutti gli altri vettori major/full service (gruppo francese-olandese compreso). Anche tale eventuale e possibile differente scelta (salvo l’avvento di ulteriori offerenti, a questo punto però forse improbabile), produrrà, ad ogni buon conto, la considerazione di ridurre, come in parte risulta essere, ITA Airways a compagnia di supporto al network di lungo raggio operato, nella maggior parte dei casi, direttamente dagli altri, riconducendo, di conseguenza, la revenue della (oramai ex) compagnia nazionale nei possibili margini di profitto derivabili dalle connessioni di medio raggio. Terreno questo dei voli a medio raggio sul quale sarà ancor di più, quindi, necessaria una battaglia sfrenata per la compagnia così acquistata contro le compagnie low-cost che non sono state, negli ultimi decenni, di certo a guardare e che continueranno, senza esclusione di colpi, a lottare tenacemente per il consolidamento e anche per l’incremento delle quote di mercato oramai raggiunte.
Tutelare gli interessi del nostro Paese
Resta, quindi, infine, solo la necessità di considerare l’importanza – lucidamente infine ricordata – del trasporto aereo in termini di elemento fondamentale per la politica industriale nazionale e, di conseguenza, il proposito di continuare ad avere un sogno. Tutelare, anche qui ed anche noi, l’interesse del nostro Paese, senza lasciare agli altri la possibilità di perseguire solo il proprio tornaconto. Ciò a prescindere dalla lingua – straniera – parlata dal futuro possibile “padrone”.
Maurizio Corain