I battiti accelerano, il fiato si accorcia, la fatica comincia fin da subito. Il bello di pedalare in Liguria è che appena volti le spalle al mare inizi a salire. Non c’è scampo. Parto in solitaria da Finale Ligure in mezzo ai furgoni che trainano carrelli carichi di biciclette da downhill. Ormai da anni la cittadina ligure è una delle capitali di questo sport, terreni ripidi e sconnessi, salti e acrobazie vista mare, discese mozzafiato per appassionati da tutta Europa, Svizzera, Francia e Germania in primis. I van che negli anni si sono moltiplicati offrono la possibilità di evitare le lunghe salite in ogni stagione dell’anno, esclusi forse un paio di mesi più freddi. In pochi minuti sei in cima, resta solo la discesa, adrenalina pura. In fondo è come usare una seggiovia invece delle pelli di foca.
Finale Ligure capitale dell’outdoor
In un precedente intervento su L’Incontro avevo toccato il tema del turismo sostenibile. A Finale, grazie all’arrampicata sportiva affermatasi fin dagli anni ‘80 seguita poi dalla mountain bike, gli operatori hanno saputo destagionalizzare l’afflusso turistico, legato storicamente all’estate di mare, con nuove attrazioni che di fatto coprono la maggior parte dell’anno. Nuovi target, utenti giovani e internazionali. E un quartiere, il Borgo, ritrovo per tutti gli appassionati e popolato di attività commerciali ben lontane dall’economia dell’ombrellone. Più che al mare sembra di essere in montagna. Il Sindaco Frascherelli mi raccontava tempo addietro che in paese c’era ancora chi non lo aveva capito. Il mare è importante, ma grazie ai climber e al popolo delle due ruote la fortuna del luogo è alle sue spalle, è nell’entroterra. Finale capitale dell’outdoor recitano con orgoglio alcuni cartelli.
Un’estate che non sembra finire mai
Lascio il Borgo da porta Testa e risalgo verso Calice, tratto di riscaldamento. Passata la piazza svolto a destra. Ora le pendenze si fanno più marcate, l’aria è ancora calda, c’è molto umidità tanto che si appannano le lenti degli occhiali. Siamo in ottobre ma l’estate non sembra voler finire, solo le ombre che si allungano e disegnano profili più “longilinei” segnalano il cambio di stagione. Vedersi più magri è pure gratificante. Un sorso d’acqua, un rapporto più corto, qualche dente in meno, e salendo con andatura regolare arrivo a Carbuta sfiorando con la ruota qualche riccio caduto dai castani.
Alla trattoria “Sotto la quercia” non mi faccio tentare
Alla sinistra la trattoria “Sotto la quercia”. Non mi faccio tentare, la strada è ancora lunga. Arrivo al bivio per il Melogno. L’antica chiesetta di S. Rocco sfiorata dal nastro d’asfalto è un buon posto per una breve sosta. Alla sinistra parte la ripida strada che scende a tornanti su Feglino, asfalto spaccato dal sole e poche barriere protettive. Discesa tecnica, continue curve, il premio per il ritorno. Risalgo in bici, meta il crinale del Pian dei Corsi e le alte torri bianche che ne punteggiano il profilo. I pedali girano piano sotto lo sforzo evidente delle mie gambe. Le grandi pale, che ho intravisto per un attimo, si muovono più velocemente grazie alla spinta del vento. Loro però senza sforzi apparenti.
Via col vento in provincia di Savona
Quando le pale girano il loro movimento si trasforma in energia. Semplice. Ricordo da bambino la sorpresa per i mulini a vento in Olanda. Penso ai tanti mulini ad acqua che ancora oggi si possono ammirare in giro per l’Italia. In Liguria la provincia di Savona detiene il primato sia per il numero di impianti che per la loro estensione. Ma in Italia è la Puglia e più in generale il sud a farla da padrone. Non sono un esperto, sfoglio con curiosità la brochure dell’ANEV-Associazione Nazionale dell’Energia del Vento. Oltre 7000 aerogeneratori, una potenza installata di poco superiore agli 11.000 megawatt (MW).
Non solo Sud Italia per l’energia eolica
Siamo piuttosto indietro rispetto alla Germania che supera i 56.000. L’eolico produce comunque il 7,3% della nostra elettricità e il trend è in crescita. Di questi tempi prendiamo il buono che c’è pensando però che il gas vale 7 volte tanto.
Certo non mancano le polemiche sull’impatto ambientale. Fra tutte quelle di Vittorio Sgarbi che più volte si è scagliato contro le pale eoliche in Sicilia, a Urbino e da ultimo al Mugello, i paesaggi violentati. E poi l’impatto acustico e quello sull’avifauna. È vero, gli impianti si vedono anche da lontano, ma scegliendo con cura i territori oppure il mare di cui siamo ricchi, credo che l’eolico sia una valida soluzione per la produzione di energia green. Occorre solo prevederne un corretto inserimento nel paesaggio, per la cui tutela compie 100 anni, proprio in questi giorni, la legge voluta da Benedetto Croce, un vero precursore.
Inizio a sentire la fatica tra i faggeti
Inizio a sentire la fatica, l’allenamento su due ruote è scarso. A Cà di Visca lascio bici e asfalto e proseguo la salita a piedi, sui sentieri sterrati utilizzati anche dai patiti del downhill (massima attenzione). La faggeta in cui cammino è pura bellezza, il foliage è ancora agli inizi e i colori giallo-marroni dell’autunno sostituiscono progressivamente i verdi della bella stagione. Il profumo del sottobosco è intenso. Esco per un attimo dal percorso segnato e risalgo una collinetta. Ad ogni passo sprofondo fino alle caviglie in uno strato morbido di foglie cadute.
La maestosità delle pale mi emoziona
Non me lo aspettavo, sembra di camminare su cuscini di piume.
Sono ormai al Pian dei Corsi, passata quota 900 metri sul livello del mare, l’aria è decisamente cambiata, molto più frizzante. Mi avvicino all’impianto, scatto con il telefonino. Osservate da pochi passi le torri sono imponenti, anche se queste non sono tra le più grandi, “solo” una cinquantina di metri d’altezza. Per cingerle alla base occorrono le braccia spalancate di almeno 6 persone. Le vedo come bianche sentinelle, immobili, che fiutano il vento senza quasi far rumore. Quasi, perché sotto le pale il suono mi ricorda quello un po’ cupo di un continuo susseguirsi di folate di vento. Salire lì sopra, in alto, dev’essere emozionante.
Abbandono il crinale e ritorno in basso, verso la bici. Una volta in sella, discesa con brio, vento in faccia, puro divertimento. Il bello di una salita su due ruote è sempre la discesa. Imbocco i tornanti sopra Feglino, la strada è stretta e ripida. Per fortuna incontro una sola auto e una curva dopo l’altra rientro al Borgo.
Se le pale girassero sempre alla velocità delle mie ruote in discesa, di quanta energia non rinnovabile potremmo fare a meno?
Alfredo Valz Gris