Il ricordo di Felice Govean ritorna dal passato per parlare al presente, perché in questi giorni la sua creatura più celebre è oggetto di una interessante e doverosa mostra dislocata in tre diverse sedi cittadine. Il Museo Nazionale del Risorgimento, Palazzo Lascaris oggi sede del Consiglio regionale e il Polo del 900.
Era il 16 giugno del 1848 quando a Torino Felice Govean scrittore, cavouriano d’acciaio e massone, insieme al medico e giornalista Giovanni Battista Bottero e al nobile decaduto Alessandro Borella diedero vita ad un quotidiano che si sarebbe imposto in modo rimarchevole in tutta Italia. La Gazzetta del Popolo.
La mostra che prende il titolo “Gazzetta del Popolo. 135 anni tra storia, giornalismo, cultura” si divide per periodo storico nei tre luoghi in cui è allestita.
Dall’anno della fondazione nel 1848 fino all’intervento dell’Italia nella Grande Guerra nel 1915 al Museo del Risorgimento, sono in esposizione litografie, prime pagine, bozzetti, inserti, caricature, oggetti che documentano i primi 67 anni di vita del giornale. Dal 1916 al 1945, il periodo in cui il giornale era allineato con il governo fascista, fino alla Gazzetta d’Italia. In esposizione le pagine del Diorama letterario, i supplementi tematici, le vignette satiriche. Una parte è dedicata alla crisi del giornale del 1974 che portò alla prima sospensione della tiratura. Ed infine il periodo tra il 1946 e il 1983 nelle sale del Polo del 900, dove sono visibili le interviste a chi lavorò alla Gazzetta tra gli anni ‘60 e ‘80, le prime pagine relative ai grandi eventi, i documenti delle crisi aziendali del 1974, 1981 e del 1983, il periodo dell’autogestione fino alla chiusura.
La storia di un importante quotidiano nazionale nato a Torino ritorna sotto forma di mostra e di memoria, il giornalismo è passato da cronaca dell’attualità a oggetto museale?
Difficile dare una risposta ad una domanda stringente ed opportuna come questa. Temo che al giornalismo oggi sia più semplice fare la storia perché l’attualità è piena di incognite.
Rileggendo il percorso di 135 anni di una grande quotidiano come Gazzetta del Popolo si evince come tante professioni siano tramontate e non sostituite e soprattutto come i giornalisti fossero allora molto apprezzati e considerati ed oggi emarginati e sostituiti anche solo da algoritmi e sviluppo tecnologico e informatico. Resta il fatto che la democrazia e la libertà dipendono anche, se non soprattutto, dalla capacità di informare in modo plurale e differenziato.
Come è cambiata, si è evoluta e trasformata la lingua della Gazzetta del Popolo e, dove ne possiamo riscontrarne oggi i prodromi?
La Gazzetta del Popolo è stata antesignana di molti linguaggi diversi: l’introduzione della cultura e delle pagine di pubblicità, del costume e della società, dei giovani e dello sport. Certo non fu l’unica ma a Torino primeggiò per modernità di strumenti e linguaggi, spingendosi a realizzare un giornale simile alla penny press di derivazione inglese e con un approccio non intellettualistico ma popolare. Non mancarono le contraddizioni e l’asservimento al potere Liberale e risorgimentale e fascista tra otto e novecento ma la cifra giornalistica fu sempre garantita da uno sviluppo tecnologico al passo con i tempi.
La storia della Gazzetta si è mossa insieme alle istanze politiche delle varie stagioni, dall’appoggio al fascismo ad una marcata condiscendenza al periodo di auge della Democrazia Cristiana. Un predisposizione tutta italiana a stare con chi governa o un modo di fare buon viso a cattivo gioco?
La testata torinese è in fondo il prototipo del sistema informativo italiano: grandi firme e slanci, capacità di innovazione ma soprattutto, purtroppo, il classico trasformismo e adulazione del potere costituito anche quello più marcatamente antidemocratico. Le stagioni della Gazzetta del Popolo sono davvero molto diverse ma corrispondono alla narrazione sincopata di una storia, quella italiana, spesso troppo intessuta di strumentalizzazioni politiche oltre ogni ordine e dimensione di autonomia della stampa libera dal potere.
Il quotidiano su carta sta vivendo uno dei suoi periodi peggiori, malgrado la grafica sia accattivante, il livello degli articoli elevato e l’attenzione alle fake news costante. Cosa potrebbe rilanciarli?
Il quotidiano di carta non morirà ma risulterà nei prossimi vent’anni residuale e molto esclusivo. Dispiace a molti questa trasformazione ma i processi si governano e non si frenano. Resta una pia illusione pensare che la carta tornerà alle dimensioni di un tempo. Serve però qualità, indipendenza, competenza, sensibilità al racconto, libertà di pensiero e questo è molto più difficile da una rete governata dai nuovi padroni del sapere e dell’informazione le grandi multinazionali della Silicon Valley.
Fake news, utilizzo propagandistico (certo non una novità) e controllo dell’informazione, asservimento al potere sono le facce di una medaglia corrosa e anche un utilizzo eccessivo e negativo dei Social network trasforma il citizen journalism in una cassa di risonanza di rancori e addirittura violenze. Serve un supplemento di responsabilità, il ritorno al ragionamento sulle cose, anche al conflitto ma vissuto nel rispetto delle regole e di coloro che la pensano diversamente. La rete sarà in grado di gestire, e di conseguenza il giornalismo online, questa sfida? Ce lo auguriamo tutti per il bene comune e la salvaguardia della democrazia e della libertà e la sua legittima e diversificata realizzazione in ogni angolo del pianeta.
La mostra chiuderà già il 6 maggio a Palazzo Lascaris mentre nelle altre sedi resterà visibile fino al 19 maggio.
Edmondo Bertaina