Una delle, per la verità, rare, uscite pubbliche di Giorgia Meloni ha riaperto un dibattito che aveva, già in passato e non solo in Italia, avuto illustri precedenti. Il titolo della querelle potrebbe essere: “La difesa degli interessi nazionali, tra diritto comunitario e diritto interno”. Di fronte al presunto strapotere dei burocrati di Bruxelles e di fronte ai conflitti esistenti tra i membri dell’Unione Europea in merito alle misure da adottare per gestire in qualche modo la crisi energetica, la Presidente di Fratelli d’Italia sembra aver riaperto una vecchia ferita.

Crisi energetica, l’Italia difenda i suoi interessi

La Meloni ha dichiarato che l’Italia deve difendere prima i suoi interessi e i suoi diritti pretendendo una “pari dignità” con gli altri membri, non subendo così penalizzazioni inaccettabili come nel caso della gestione della crisi sul “Price Cap” del gas. La Germania che va avanti per i fatti suoi, infischiandosene degli interessi comuni dei suoi partner europei (i 220 miliardi deliberati per “tutelare” le proprie imprese e i propri cittadini… a prescindere dalle direttive di Bruxelles!), e lascia gli stati “corretti e adempienti” ad una politica comune, a gestire da soli costi, perdite, proteste di piazza, pericolose rivincite dei populisti sovranisti, è proprio l’esempio di condotte inaccettabili.

Una posizione formalmente corretta, quindi, quella assunta dalla leader di Fratelli d’Italia, se mirata a sollecitare la Commissione Europea a trovare entro brevissimo termine una soluzione comune per gestire e arginare il rialzo delle materie prime energetiche. Delicata e pericolosa, invece, se strumentale a reintrodurre il dibattito sulla gerarchia delle norme tra diritto comunitario e diritto interno, enfatizzando la necessità di una certa preminenza del secondo nei confronti del primo. Abbiamo, così, provato a riordinare la materia fissando i paletti giuridici che disciplinano i rapporti fra la normativa nazionale dei singoli stati membri e il diritto comunitario europeo, tenendo conto che tali principi sono stati formalmente condivisi da tutti i 27 stati membri.

Il quadro normativo

Ad ognuno di noi, poi, spetterà tirare le sue conseguenze di natura politica, come ha sottolineato recentemente l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia sul Corriere della Sera: “l’Italia, paese fondatore dell’Unione Europea, non può permettersi di diventare attore della messa in discussione delle sue basi fondative. Sono in gioco i nostri valori ma, è bene ricordarlo, anche i nostri interessi”. Sull’altro fronte, si sostiene, invece, che ogni stato conserva sempre il diritto di tutelare i propri interessi e i propri valori. Ma vediamo il quadro normativo di riferimento, seppur in sintesi.

La nostra Costituzione consente la limitazione della sovranità nazionale per contribuire alla creazione di un ordine internazionale che “assicuri la pace e la giustizia tra Nazioni” e che “le leggi debbono rispettare i vincoli comunitari” (artt. 11 e 117 della nostra Carta). Ricordiamo che la prevalenza della normativa comunitaria riguarda soltanto alcune materie esplicitamente indicate nei Trattati (unione doganale, regole sul mercato interno, politica monetaria per i paesi che hanno adottato l’euro, risorse del mare e per la pesca e politica commerciale comune). Il Trattato di Lisbona che definisce il perimetro delle competenze degli stati membri e dell’Unione Europea (approvato all’unanimità nel 2008 dal nostro Parlamento) è molto chiaro in tal senso: i paesi sottoscrittori hanno deciso di concedere all’Unione Europea alcune competenze esclusive e il primato quindi del diritto comunitario su quello nazionale è stato accettato e ratificato da tutti i paesi membri.

La presa di posizione tedesca

Proprio su questo tema è intervenuta in diverse occasioni la Corte Costituzionale tedesca, sostenendo nella sostanza che tra i due sistemi normativi dovrebbe prevalere sempre quello che tutela meglio i cittadini tedeschi. La sentenza del 5 maggio 2020 della Corte Costituzionale tedesca relativa proprio all’applicazione del Quantitative Easing da parte della Bundesbank, sollevava la questione, sottolineando l’autonomia della banca centrale di Berlino rispetto ai provvedimenti decisi dalla banca centrale europea (BCE).

Fu immediata la risposta comune e concorrente sia della Commissione, sia del Parlamento sia soprattutto della Corte di Giustizia Europea che ribadivano il primato delle decisioni comunitarie sui temi espressamente previsti dai Trattati UE. Proprio in quel caso è stata aperta una procedura di infrazione contro la Germania per violazione degli obblighi derivanti dai Trattati medesimi.

Anche la Corte Costituzionale polacca è intervenuta recentemente sulla questione con la decisione 7 ottobre 2021: il principio statuito dalla Suprema Corte di Varsavia è che l’interpretazione che privilegerebbe le norme comunitarie rispetto a quelle nazionali sarebbe incompatibile con la gerarchia delle fonti del diritto vigente in Polonia. Una vera e propria “mina vagante” contro la supremazia del diritto comunitario così come disciplinata nel Trattato di Lisbona.  Proprio in questi giorni, l’anno scorso, il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione in cui “deplora profondamente la decisione del 7 ottobre 2021 del Tribunale Costituzionale polacco” e la definisce illegittima “in quanto compromette il primato del diritto dell’Unione Europea come uno dei suoi principi fondamentali”. Il Parlamento “esprime profonda preoccupazione per il fatto che tale decisione potrebbe costituire un pericoloso precedente”.

La sfida tra populismo e sovranismo

Questo è il quadro normativo di riferimento che, a nostro avviso, non dovrebbe lasciare dubbi circa la preminenza del diritto comunitario per le materie indicate nei Trattati e sopra elencate. Discorso diverso riguarda il giudizio politico, non giuridico, dei singoli governi dei paesi membri che possono legittimamente interloquire con Bruxelles anche con critiche sull’operato della Commissione allorché o il comportamento di qualche partner è manifestatamente contrario alla solidarietà europea (caso Germania sul Price Cap) oppure una decisione della Commissione, alterando il valore della solidarietà e della “pari dignità” tra partner, può penalizzare ingiustamente uno stato membro.

In questa cornice normativa e politica, riteniamo si debba valutare l’intervento della Meloni: nessuno impone ai singoli stati di appiattirsi sulle decisioni di Bruxelles, ma nessuno stato membro è legittimato a mettere in dubbio i Trattati europei che sono stati sottoscritti all’unanimità nel recente passato (Lisbona 2008). Il populismo e il sovranismo si combattono anche con una chiara rappresentazione di quelle che sono “le regole del gioco” e il loro doveroso rispetto.

Euro

Con lo pseudonimo Euro, si firma uno studioso italiano, apprezzato per la sua competenza nella politica internazionale, oltre che nelle questioni economiche e di diritto riguardanti l'Unione Europea

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