Una settimana dopo le elezioni in Italia, il Brasile è andato alle urne. Più di 156 milioni di persone hanno potuto votare nelle cabine elettroniche, attraverso un sistema di voto considerato uno dei più sicuri al mondo. In cifre tonde, c’è stata un’affluenza di poco superiore al 79% e un’astensione di quasi il 21%, l’astensione più alta della storia.
Lula al nord, Bolsonaro al sud
I risultati confermano che Luiz Inácio Lula da Silva è stato votato molto bene al primo turno delle elezioni, raggiungendo oltre il 48% dei voti validi. Ma confermano anche una sorprendente crescita dei voti per l’attuale presidente, visto che Jair Bolsonaro ne ha conquistati circa il 43%, cosa che non era chiara nei sondaggi più credibili dell’intenzione degli elettori nelle ultime settimane. I voti per Lula sono stati più concentrati nel nord (47%) e nel nord-est (67%) del Brasile, mentre Bolsonaro ha ricevuto più voti negli stati del sud (55%), del sud-est (48%) e centro (“Centro-Oeste”) (54%), dove si trova anche la Capitale, Brasilia.
Il popolo brasiliano ha dimostrato fiducia nel sistema elettorale
Cosa significa tutto questo per il Brasile? E per il resto delle nazioni, in generale, visto che si tratta di uno dei paesi più ricchi del mondo, con immense risorse naturali e forza umana rappresentata da oltre 215 milioni di persone?
Certo, ci sono molte cose ed è difficile affrontarle tutte in uno spazio necessariamente piccolo, quindi cercherò di attenermi a quelle che, più da vicino, si riferiscono alla natura più profonda della lotta in queste elezioni.
Il primo evento da celebrare è stata la scelta che il popolo brasiliano ha fatto per la democrazia, andando a votare e mostrando il voto più deciso delle ultime elezioni. Se l’astensione è stata quasi del 21%, i voti nulli e bianchi sono stati su percentuali invece molto ridotte rispetto alle precedenti elezioni. A dimostrazione che l’elettore venuto a votare aveva fatto la sua scelta. Il popolo brasiliano ha dimostrato fiducia nel sistema elettorale, a differenza di quanto predicato dall’attuale presidente per tutto il suo mandato e durante la campagna per la sua rielezione.
Un Congresso Nazionale nettamente più conservatore
Un altro fatto innegabile è che le preferenze elettorali hanno favorito le proposte più conservatrici e hanno dimostrato un vigore delle forze favorevoli a Bolsonaro maggiore di quanto previsto dall’opposizione (e indicato dai sondaggi). I numeri parlano chiaro. Dei 27 seggi in lizza per il Senato, domenica scorsa, i sostenitori dell’attuale Presidente ne hanno ottenuti 14, compreso quello del più grande collegio elettorale del Paese, rappresentato dallo Stato di San Paolo. Allo stesso modo, molti dei deputati più votati per le assemblee legislative federali e dei singoli Stati sono sostenitori dell’attuale presidente. Il nuovo Congresso Nazionale uscito dalle urne domenica scorsa avrà un profilo nettamente più conservatore e avrà una maggioranza di sostenitori dell’attuale presidente. Vi è un fondato timore, da parte delle forze democratiche, che, con una solida maggioranza al Senato, se rieletto, Bolsonaro possa interferire con il profilo della Suprema Corte (STF) e addirittura favorire l’impeachment dei giudici che ne fanno parte e che non si allineano con il suo governo.
La polarizzazione non lascia spazio ai candidati minori
Infine, il fatto più ovvio. Questa elezione ha mostrato la netta polarizzazione tra Lula e Bolsonaro, che insieme hanno ottenuto più del 92% dei voti validi, in un’elezione con undici candidati (terzo posto, la senatrice Simone Tebet, ha ottenuto poco più del 4% di voti validi e il quarto, politico di spessore nazionale quale Ciro Gomes, ha appena superato il 3%. Queste erano le forze della cosiddetta “terza via”). È una polarizzazione che viene vista e venduta dalla pubblicità e da una parte della stampa come essendo tra sinistra e destra. In realtà, essa è ancora una volta la manifestazione del solito “antipetismo” (rinforzata dalla discutibile versione brasiliana delle Mani Pulite italiane), da un lato. E, dall’altro, da una naturale avversione alla figura e ai modi truculenti del presidente.
Bolsonaro contro la democrazia…
Vi sono, tuttavia, alcune chiare differenze tra i due candidati in termini di capacità individuali come governanti e dei loro atteggiamenti nei confronti del valore della democrazia. Bolsonaro è un personaggio pubblico con credenziali umane e morali di bassissima qualità. È un candidato mediocre, capo di un governo tecnicamente incompetente, promotore della difesa aperta e nefasta di un neoliberismo economico sfrenato, con il quale intende ridurre in polvere ciò che resta dello Stato brasiliano e rovinare la foresta amazzonica sino a un punto di non ritorno. Inoltre, durante quasi quattro anni del suo mandato, ha offerto al Paese una raffica di dichiarazioni e atti contro la democrazia, a cominciare dall’elogio schietto del torturatore Brilhante Ustra – simbolo di sostegno al regime militare che ha soppresso le libertà individuali in Brasile per più di due decenni – in occasione del voto per l’impeachment di Dilma Rousseff, nel 2016, quando era ancora deputato.
Lula populista e controverso…
Lula da Silva, sebbene di origini più umili e meno colta, è un individuo più capace e unificante dal punto di vista politico, un leader popolare (e populista, bisogna aggiungere) riconosciuto anche dai suoi oppositori, ricordato proprio per aver promosso un ampio inserimento sociale delle classi svantaggiate durante i suoi due mandati (2003-2010), nei quali in pratica ha sempre rispettato le regole democratiche, anche se, in parole, qualche volta ha accentato contra la libera stampa. Ma anche allora era una figura di grandi contrasti. Amato incondizionatamente da gran parte del popolo e disprezzato – per non dire odiato – da un’altra parte altrettanto consistente dell’elettorato. In senso politico più ampio, i due candidati rappresentano una specie molto comune in America Latina: quella dei leader carismatici, populisti con profili messianici.
L’assistenzialismo che uccide il Brasile
Come ha sottolineato la giornalista Eliane Brum (El Pais), entrambe sono eccezioni. Nessuno di loro appartiene a un’élite. Lula è stato riconosciuto per la sua eccezionalità. Un metallurgico con cui la maggior parte degli elettori si identificava, riconoscendo in lui qualcuno come loro, ma migliore di loro, e chi poteva rappresentarli. Oggi, Lula è un ex presidente incarcerato per un anno, accusato di corruzione e di essere stato alla guida di un governo che la praticava o la permetteva, ed è rimato così nell’immaginario di milioni di brasiliani. La sua condanna è molto discutibile dal punto di vista giuridico (è stata considerata parziale dalla Suprema Corte), è innegabile che lui è diventato anche responsabile del trattamento degli elettori come adulti infantili, convertendo i diritti in concessioni o favori da un governo gentile ai poveri bisognosi. Questo è, infatti, il segno dell’assistenzialismo in Brasile, sin dalla sua fondazione, da cui Lula e il suo partito non sono sfuggiti.
Chi sarà il nuovo salvatore della Patria?
La verità è che siamo una nazione che è costantemente alla ricerca di un “Salvatore della Patria”. Bolsonaro, a sua volta, fu scelto perché deputato mediocre, essendo stato un militare mediocre, noto per aver presentato un piano per piazzare bombe in caserma, prima di essere espulso e, invece di essere arrestato, promosso capitano. Nel corso di quasi tre decenni come membro del Congresso, è diventato ben conosciuto come una figura burlesca, istrionica e di tipo piantagrane. Lui si definisce un “mito”, ma, come tutte le persone mediocri, cerca di vendere la sua ignoranza come se fosse saggezza.
E la sua proposta è sempre stata, negli ultimi anni, accolta dalla popolazione brasiliana, che in essa si riconosce, in parte perché è un riflesso della popolazione razzista come il presidente, in parte perché questa stessa popolazione odia il “lulismo” o le manifestazioni popolari ad esso associata giusta o ingiustamente.
Il secondo turno sarà un’elezione plebiscitaria
In questo quadro generale, le elezioni del secondo turno, di fine mese, rimetteranno il Paese davanti alla Storia, poiché si tratta di decidere non solo quale presidente lo governerà per i prossimi quattro anni, ma, soprattutto, di scegliere un sì o un no al regime democratico che è stato stabilito dalla Costituzione del 1988 – che il candidato Bolsonaro rifiuta nettamente. Molti dei voti dati al candidato Lula da Silva avevano la chiara intenzione di rafforzare la scelta della maggioranza delle forze del Paese per un regime democratico. Il secondo turno sarà dunque un’elezione plebiscitaria, attraverso la quale il popolo brasiliano sceglierà o meno la via del rispetto delle regole costituzionali, contro i torturatori e il regime di eccezione. E contro l’eccessiva militarizzazione della vita pubblica in Brasile. Ma, soprattutto, contro la mediocrità, che, nel caso specifico del “Capitão” che ci governa, non ha niente di aurea.
Luiz Roberto Evangelista