Nel corso del XVIII° e XIX° secolo vissero in Francia, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, alcune donne straordinarie, che lottarono per i diritti umani. Il loro nome è oggi sconosciuto ai più. Come se i diritti non fossero il frutto di secoli di battaglie, del sacrificio di alcuni a vantaggio di tutti. E’ necessario quindi custodirne la Storia, perché come scriveva il grande storico francese Jules Michelet, «chi vorrà limitarsi al presente, all’attuale, l’attuale non lo comprenderà».
La rivoluzionaria Marie Gouze, conosciuta come Olympe de Gounges
La prima figura da ricordare vive in un’epoca, l’Ancien Règime, in cui le donne non hanno quasi alcun diritto, soggette all’autorità paterna e a quella maritale non godono di alcun diritto politico. Marie Gouze, che si fa conoscere con il nome di Olympe de Gounges, partecipa alla Rivoluzione Francese, lotta contro la schiavitù ed è ricordata per il testo “Dèclaration des droits de la femme e de la citoyenne”.
Pubblicato durante la prima parte della Rivoluzione si presenta come una declinazione al femminile della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789. Rivendica per le donne un’uguaglianza effettiva anche per i diritti civili e politici e non solo per i diritti naturali. Fra gli stessi Illuministi permane infatti la mentalità dell’epoca che continua a negare la pienezza dei diritti anche alla donna. Divenuta repubblicana grazie alla vicinanza a Condorcet e ai Girondini, viene ghigliottinata dai Giacobini.
Mary Wollstonecraft autrice di A vindication of the rights of Woman
Un’altra donna divenuta celebre per testi rivoluzionari è l’inglese Mary Wollstonecraft. Pubblica in particolare il libro “A vindication of the rights of Woman”. Suscita un vasto clamore nella pubblica opinione, nel quale sostiene che i diritti umani in quanto universali, come affermato dagli Illuministi, devono essere riconosciuti anche alle donne. Moglie del filoso William Godwin ha una figlia, Mary Wollstoncraft Goodwin, che sposerà il poeta e scrittore Shelley e pubblicherà il famoso romanzo “Frankestein”. Altre donne fuori dal comune lottano per i diritti umani e in particolare per l’abolizione della schiavitù.
Nel 1807 il Parlamento inglese vieta la tratta degli schiavi con il voto contrario di soli sei deputati alla Camera dei Comuni e una maggioranza del settantacinque per cento alla Camera dei Lords. Questa vittoria non è solo opera dell’attività di persuasione di uomini come Granville Sharp o Thomas Clarckson, di cui Coleridge descriverà la “bellezza morale” paragonandolo ad Alessandro e Napoleone.
E’ anche il risultato dell’azione di donne impavide come Rebecca Jones, Catherine Phillips e Mary Peisley. Donne che nella seconda metà del Settecento attraversano in lungo e in largo gli Stati Uniti e poi l’Inghilterra. A favore della campagna abolizionista, cercando di convincere i loro correligionari Quaccheri a liberare i propri schiavi.
Poetesse, educatrici a favore dei diritti umani
E’ una conquista anche merito di donne come Hannah Moore e Lady Margaret Middleton, amiche e mogli di membri influenti della classe politica e autrici di coinvolgenti poemi e racconti contro la schiavitù. Frutto dell’impegno di educatrici come Anna Laetitia Barbauld e Helen Maria Williams, amiche di Mary Wollstoncraft, o di attiviste come Mary Birkett ed Elizabeth Heyrick. Propongono il boicottaggio dello zucchero prodotto da schiavi. Anche grazie alla loro instancabile attività finalmente nel 1833 lo Slavery Abolition Act sancisce la fine dello schiavismo in tutto l’Impero britannico. E l’opera a favore dei diritti umani di alcune donne riguarda anche altri aspetti della vita umana.
Florence Nightingale, rivoluziona l’assistenza ai feriti di guerra
Nella Guerra di Crimea del 1854, prima che Henry Dunant cominci il cammino verso la creazione della Croce Rossa Internazionale e il dibattito politico porti alla fine del secolo alle Convenzioni dell’Aja sul Diritto Bellico, una donna. Si tratta di Florence Nightingale, rivoluziona l’assistenza ai numerosi feriti in combattimento.
Inviata sul posto dal Ministro della Guerra inglese, al comando di una squadra di circa quaranta infermiere che aveva formato nei mesi precedenti, cambia il trattamento dei feriti che si trovano in stato di abbandono negli ospedali da campo. E punta sul miglioramento delle misure di igiene. Scrive il Times di Londra: «Essa è senza alcuna esagerazione, un angelo che accudisce in questi ospedali e quando la sua figura snella scivola leggera per i corridoi, il volto di ogni povero ragazzo si calma alla sua vista. Quando tutti gli ufficiali medici si ritirano per la notte e silenzio e buio si sono assestati su queste miglia di sofferenza sopraffatta, si può scorgerla da sola, con un piccolo lume in mano, compiere le sue solitarie visite».
La “Lady whit the Lamp”
Ritorna a Londra come un’eroina e diviene una delle donne più celebri dell’epoca vittoriana. Benchè ritenga che le donne siano soggette a mali maggiori della mancanza del diritto di voto accetta di porre la propria firma in testa alla petizione che il filosofo John Stuart Mill consegna alla Camera dei Comuni nel 1868. Petizione a favore del suffragio femminile, e diventa membro della London National Society for Women’s Suffrage, senza tuttavia partecipare all’attività di questa organizzazione.
Harriet Beecher Stowe, autrice del romanzo La capanna dello zio Tom
Nello stesso periodo, vive negli stati Uniti Harriet Beecher Stowe, l’autrice del famoso romanzo “La capanna dello zio Tom”. Il libro, che ha un’immensa fama, promuove la causa abolizionista negli anni che precedono la Guerra di Secessione americana del 1861. Le ragioni del conflitto furono anche di natura economica. Ma giova ricordare un curioso aneddoto che aiuta a comprendere il clima culturale favorevole all’abolizione della schiavitù che si venne a creare nella società degli Stati del nord prima della Guerra Civile. Pare che il Presidente Abramo Lincoln, incontrando la scrittrice, le abbia detto: «Quindi, tu sei la piccola signora che ha causato questa grande guerra!».
A tutte queste donne dobbiamo la nostra gratitudine, rammentando che esse vissero e lottarono in un tempo in cui erano considerate inferiori agli uomini. A tutte loro dobbiamo l’impegno morale di custodire memoria del loro straordinario coraggio.
Lorenzo Bianchi