“Perché nell’inchiesta sulle priorità che qualsiasi nuovo governo verrà fuori dalle elezioni politiche dovrà affrontare, non ha inserito l’ambiente? Per quale ragione c’è stata questa omissione?”. Sono le parole di un affezionato ed attento lettore de L’Incontro che mi ha “bacchettato”. Lo ha fatto con educazione, rispetto, ma severa determinazione.
Fatichimo a comprendere le urgenze ambientali
“Nessuna – gli ho scritto, dopo un attento esame di coscienza. Ha tutte le ragioni. E’ stata una omissione ingiustificabile; una prova della sottostima che molti di noi hanno verso i temi collegati alla salvaguardia della salute del nostro bistrattato pianeta. E’ un problema culturale e molti di noi, me compreso, fanno fatica a comprendere l’urgenza di costruire una nuova consapevolezza collettiva su tale priorità, vitale per le nostre vite future”.
L’interrogativo del lettore mi consente di approfondire un tema apparentemente incomprensibile che merita una articolata riflessione. Quali sono le ragioni “a monte” di un sostanziale disinteresse? O peggio, di una distrazione della maggioranza dei cittadini verso la cosiddetta “giustizia ambientale”. Così come viene chiamata dai ragazzi delle nuove generazioni che dovranno vivere questo pianeta martoriato dai nostri comportamenti dissennati e miopi? Stiamo vivendo un’estate drammaticamente indimenticabile, caratterizzata da una serie di fenomeni climatici mai visti, da contesto bellico.
Le guerre che stiamo perdendo senza combattere
Ecco un breve elenco dei fronti di tale guerra che stiamo perdendo senza combattere. I ghiacciai si sciolgono e la tragedia della Marmolada ci segnala le conseguenze catastrofiche. La siccità sta facendo morire fiumi e laghi. Le immagini del Po in secca con tutti i territori confinanti distrutti dalla mancanza d’acquansono terribili. I roghi devastano centinaia di chilometri quadrati, in tutto il mondo, distruggendo boschi e costringendo all’evacuazione molte famiglie. La morsa delle temperature torride non ci dà tregua: in Italia e nel nord si sono registrati picchi mai visti in passato. I temporali si sono trasformati in uragani caraibici, brevi ma violentissimi. Le alluvioni hanno interrotto la siccità senza portare alcun benefici ma creando ulteriori danni all’ambiente.
Un quadro terrificante di un film che non avremmo mai voluto vedere!
Eppure, dopo aver fatto i sorpresi, gli addolorati per le vittime, i preoccupati da tali fenomeni ormai non più eccezionali, siamo tornati nelle nostre cucce dorate, egoistiche. Caratterizzate da quella che – il consulente del presidente degli Stati Uniti Biden per la tecnologia, Tim Wu – ha definito come “la tirannia della comodità”, all’insegna del “non cambiamo nulla e se abbiamo caldo … accendiamo l’aria condizionata!”.
Perché tutto ciò?
Perché non ci rendiamo conto che questa è, e deve essere, la priorità numero uno dell’umanità, della politica, del sentire comune, per tutelare un mondo che stiamo distruggendo ora per ora, con le nostre mani. L’interrogativo del nostro lettore, come dicevo, mi ha stimolato a cercare di darmi delle spiegazioni.
Partiamo dai negazionisti
Molti di noi pensano che stia andando tutto come bene, come sempre è andato e che, al massimo, come ha detto Donald Trump “Con lo scioglimento dei ghiacciai avremo più case con vista mare”. O che, comunque, d’estate ha sempre fatto caldo e dobbiamo farcene una ragione, come i nostri vecchi si sono sempre fatti. I negazionisti, come ha evidenziato Riccardo Luna, partono avvantaggiati. Ci dicono quello che vogliamo sentirci dire. Di fronte ad ogni scadenza per ridurre, ad esempio, le emissioni globali, invocano un rinvio. Come se “Potessimo rinviare – ha scritto Riccardo Luna – anche gli uragani che un pianeta più caldo comporta”.
Una scellerata distrazione
Un’altra ragione della “scellerata distrazione” potrebbe essere scaturita dalla constatazione che il tema ambientale non è risolvibile a breve, subito, in modo efficiente e definitivo. Necessita di tempi lunghi. Di investimenti rilevanti, di politiche comuni a livello internazionale. Di sacrifici, tanta pazienza per vedere i risultati. Questo tipo di ragionamenti, di orizzonte medio-lungo, è ormai inaccettabile per esseri umani abituati a ragionare in base al presentismo: “Tutto subito, con semplificazioni anche costruite su degli slogan”.
Trovare una mediazione logica ed esecutiva è estremamente complesso
Inoltre, ogni tipo di intervento, come detto, pianifica dei sacrifici che non vogliamo fare anche se apparentemente ammettiamo che sia giusto fare. La “decrescita felice” ci preoccupa, ci irrita, ci fa pensare ad un mondo privo di tutti i gadget di cui ci siamo abituati. In questo caso ci vorrebbe una narrazione diversa perché l’ambiente e la sua tutela non sono più antitetici alla crescita economica. Le nuove tecnologie ci permetterebbero di cambiare il modello industriale e frenare contemporaneamente il riscaldamento globale.
La guerra ha distratto dalla transizione ecologica
Infine, la guerra in Ucraina ha sostanzialmente sospeso il grande piano di investimenti deliberato da Bruxelles per realizzare nel prossimo quinquennio una vera transizione ecologica. Le priorità di una guerra impongono una riallocazione delle risorse in armamenti riducendo o rinviando gli altri capitoli di spesa. Anche su questo fronte la tutela dell’ambiente è finita in coda.
Ma negli Stati Uniti qualcosa si muove…
In contro tendenza, anche se i motivi elettorali a breve sono evidenti, appare la recentissima intesa bipartisan raggiunta al Senato americano tra i democratici e i repubblicani sul piano strategico di riconversione energetica promosso dal Presidente Biden. Un piano da 385 miliardi di dollari per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Un taglio del 40% entro il 2030 con il potenziamento delle fonti di energia rinnovabile come l’eolico e il solare. Un rilevante incentivo (7.500 dollari) per l’acquisto di auto elettriche per dieci anni. Trenta miliardi mirati all’agricoltura verde al fine di limitare l’uso di pesticidi e fertilizzanti energivori.
In campagna elettorale prevedo tanti bla bla bla
In Italia, alla vigilia dell’inizio formale della campagna elettorale, temo che assisteremo ad una sequela di slogan più o meno basati sulla cifra del green. I sondaggi dicono che l’elettorato, a prescindere se sia di destra o di sinistra, sarà attento a chi porrà il focus sulle misure ambientaliste. Speriamo che il messaggio venga colto e che non si ripeta quel “Bla.. bla .. bla” contestato da Greta Thumberg contro le classi dirigenti distratte e omissive.
Anche se la politica dovesse dimostrarsi, per una volta, più attenta a questa priorità, prima di tutto dovremo essere noi, con le nostre scelte, comportamenti, attenzione sulla “giustizia ambientale”, a dare un segnale di una cultura diversa nell’affrontare questa tematica. O ci convinciamo della necessità, non più rinviabile, di interventi risolutivi nella transizione ambientale, oppure ci dovremo adattare alla litania degli slogan. Con tutte le conseguenze catastrofiche che ciò comporterà. Spero che ci ricorderemo dell’estate 2022 non come “la più fresca dei prossimi dieci anni” come ha ironicamente detto un leader ambientalista. Ma come l’estate in cui abbiamo finalmente capito che l’allarme sul clima, lanciato per la prima volta proprio cinquant’anni fa dagli scienziati, è vero e fondato.
Idealisti, sognatori e combattivi
A Torino, proprio nei giorni scorsi, si è svolto il Climate Social Camp, una grande adunata di oltre 1000 studenti provenienti da tutte le parti del mondo. “Siamo idealisti e ognuno di noi ha il sogno di poter cambiare il mondo” hanno detto. E hanno aggunto “Il sogno è quello di un mondo del futuro in pace e green, in cui nessuno debba più combattere per sopravvivere”. Dunque, dall’altra parte della barricata rispetto ai negazionisti, esiste un mondo nuovo, quello con un anagrafe più bassa che ci chiede di occuparci del mondo in cui vivranno loro, non noi. Un mondo alimentato da energie rinnovabili e con un rapporto più rispettoso e più sano con le risorse del pianeta. Un filo di speranza che ci giunge da una minoranza e, ora, sta a tutti noi farla diventare una maggioranza, non più succube della “tirannia della comodità”.
Riccardo Rossotto