Apparentemente non hanno nulla in comune. A parte l’assonanza e il fatto di essere due termini che, seppure coniati ormai da qualche decennio, sono divenuti di uso corrente, quasi contemporaneamente, in tempi recenti. Woke e poke appartengono a due sfere lontane tra loro: l’attenzione a presunte ingiustizie e la cucina. Eppure, con un pizzico di suggestione (forse, più di un pizzico) possono essere prese come paradigma di due ideologie opposte. Cominciamo con il dire di cosa si tratta.
La strada che porta all’inferno è sempre lastricata da buone intenzioni
La “Woke culture” è propria di chi, come scrive la Treccani “si sente consapevole dell’ingiustizia rappresentata da razzismo, disuguaglianza economica e sociale e da qualunque manifestazione di discriminazione verso i meno protetti”. Il poke, invece, è un piatto tipico della tradizione hawaiana. L’ideologia Woke parte quindi con i migliori propositi. Ma, come successe con la Rivoluzione francese, degenerata nel Terrore, la via che porta all’inferno è lastricata da buone intenzioni.
Da democratici e liberali a intransigenti e conservatori è un attimo
La Woke culture, come la cancel culture, di cui è parente stretta, ha preso la deriva dell’intolleranza, tanto che la stessa Treccani, dà anche questa ironica definizione dei suoi seguaci. “Persone che, esibendo il proprio orientamento politico progressista o anticonformista, hanno un atteggiamento rigido o sprezzante verso chi non condivide le loro idee”. Insomma, la giusta difesa dei diritti delle minoranze e dei soggetti deboli, si trasforma in intransigenza, in autentica dittatura del politically correct portato alle estreme conseguenze. Abbiamo visto un paio di anni fa abbattere le statue di Cristoforo Colombo, indicato come simbolo del colonialismo e del razzismo europeo.
Socrate e Platone? Due suprematisti bianchi…
E anche a Westminster la statua del più tenace nemico di Hitler, Winston Churchill, è stata vandalizzata per i trascorsi colonialisti dello storico primo ministro di Sua Maestá. Ma è negli ambienti dell’istruzione “alta” che la Woke culture imperversa. Alla Howard University, il prestigioso college da cui è uscita anche la vicepresidente (o vicepresidentessa, non vorrei offendere nessun Woke) Kamala Harris, hanno chiuso il Dipartimento studi classici. Poco ha contato il fatto che il grande Martin Luther King amasse citare Socrate (attraverso gli scritti di Platone). Gli autori classici sono stati assimilati a dead white males. In altre parole, propagandisti del suprematismo bianco. E non si tratta di un caso isolato. A Princeton lo storico di origini dominicane Dan-el Padilla Peralta ha condannato gli studi classici senza possibilità di appello. Essi, sostiene l’esperto di Storia Romana, avrebbero contribuito alla formazione di una white culture da cui sono derivati colonialismo, razzismo e fascismi.
Dalla cultura talebana alla libertà di scegliere ingredienti e idee
A questa cultura talebana, si contrappone metaforicamente quella del poke. Ovvero di un piatto, originariamente a base di riso e pesce crudo che si è evoluto nella diversità e nella libertà. Le poke house non hanno una visione intransigente. Non esiste un pensiero unico di un’élite che impone cosa mangiare. Al contrario, il consumatore può scegliere se mettere come base riso, quinoa o altro, se usare come ingrediente “forte” pollo, tonno, salmone e così via. Se aggiungere avocado, mango, pomodoro e/0 zucchine. Gli ingredienti si amalgamano bene, ma mantengono la loro identità. Per chi mangia, sono ben distinguibili e non si annullano in una sorta di pastone. Nessuno poi si sogna di mettere al bando il farro, il cereale più consumato dalle legioni romane, braccio armato di secoli di politica imperialista.
Insomma, continuando a indulgere in questo paradosso, la cultura del Woke è quella dello Stato etico, mentre la cultura poke tutela le libertà individuali.
Forse per questo sono ghiotto di poke.
Milo Goj