Sono diventate i simboli della lotta contro i regimi dei tiranni, per la libertà delle donne e dei propri popoli. Sono donne che dal Sudan all’Iran si alzano, sole, contro gli oppressori e sfidano il carcere per la libertà. Alaa Salah, che ha 22 anni e studia ingegneria a Khartoum ha cantato per mesi con la folla in Sudan per cacciare il regime trentennale di Omar al-Bashir. Nasrin Sotoudeh, avvocatessa di 55 anni per i diritti umani, è in galera in Iran, condannata a 38 anni e a 148 frustate. Vida Movahed, 31 anni, che nel centro di Teheran si è tolta il hijab, è stata arrestata come decine di altre donne.
8 aprile 2019. Alaa Salah sale sul tetto di una macchina a Khartoum e intona canti popolari insieme alla folla, come fa dall’inizio delle proteste contro il presidente del Sudan Omar al-Bashir, iniziate a dicembre. “La religione dice che se gli uomini vedono che qualcosa va male, non possono restare in silenzio”, ha cantato, mentre la gente rispondeva gridando “Rivoluzione!”. Alaa indossava il “thobe”, un abito bianco tradizionale. È stata ribattezzata “Statua della libertà”, ma soprattutto “Kandaka”, regina di Nubia al tempo delle conquiste di Alessandro il Grande, che divenne il simbolo della lotta delle donne per i loro diritti nel Paese.
Today marks the one year anniversary of the day Vida Movahed started the movement of #whitewednesday she stood on a utility box tied her white headscarf to a stick and waved it to the crowd as a flag in protests against compulsory hijab on Revolution St. in Tehran #ویدا_موحد pic.twitter.com/cZnYrG3n5R
— Sahneh Iran (@SahnehIran) 27 dicembre 2018
Dicembre 2017. Vida Movahed sfida il regime islamico iraniano che impone il velo alle donne, facendosi riprendere a Teheran, all’incrocio tra via Enghelab e via Abureihan a volto scoperto e con i capelli sciolti sulle spalle, sventolando un drappo bianco simbolo del White Wednesday (mercoledì bianco). La giovane aveva aderito a My Stealthy Freedom, il movimento per i diritti delle donne promosso dalla giornalista e attivista iraniana Masih Alinejad, che dal 2009 vive in esilio tra Londra e New York.