Il mondo “civile” è stordito dalla sentenza della Corte Suprema americana che ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto anche in caso di stupro ed incesto. E’ esterrefatto per il commento di Donald Trump, degno di un talebano, “è Dio a volerlo” e per quello, agghiacciante, del giudice conservatore Clarence Thomas il quale si pone come obiettivo vietare la contraccezione e i matrimoni gay. Lascia aperto invece, bontà sua, il matrimonio tra razze diverse (!).
Decisione che avrà effetti devastanti sulle ragazze più giovani
Subito dopo la sentenza, sette Stati su 50 hanno già bandito l’aborto, altri sette lo faranno nei prossimi 30 giorni e altri 26 sono a rischio. Alcune società, come Google, hanno già preso posizione e fatto sapere che pagheranno alle proprie dipendenti il viaggio per recarsi in quegli Stati dove l’aborto sarà ancora legale. I media progressisti, dalla CNN, al Washington Post a USA Today, già dallo scorso maggio, quando la sentenza era stata annunciata, si sono schierati contro questo salto indietro di 50 anni. Una decisione che avrà effetti devastanti soprattutto per le ragazze più giovani e per tutte le donne meno abbienti, nere e latine in primis. Una grande e giustificata reazione emotiva di tutti i liberal che però poco o nulla hanno fatto per impedire che ciò accadesse.
Accesso ai farmaci più difficile per ostacolare l’interruzione
Infatti negli USA, fin dalla famosa sentenza Roe vs Wade e nonostante la sentenza Planned Parenthood vs Casey del 1992 (che introdusse il diritto ad abortire oltre il terzo mese per consentirlo fino al momento in cui il feto non fosse in grado di sopravvivere fuori dall’utero materno), gli stati più reazionari iniziarono ad aggirare le decisioni della Corte prevedendo lunghi tempi di attesa, rendendo difficile l’accesso ai farmaci. Oppure attuando l’Hyde Amendment che esclude i costi dell’interruzione di gravidanza dalle spese coperte dal medical aid, cioè dall’assicurazione sanitaria per le fasce più povere della popolazione.
Per questo il 58% delle donne in America aveva già difficoltà o era impossibilitata a ricorrere all’aborto terapeutico. Ma appunto erano soprattutto quelle povere e senza voce. Nel 2019, con l’amministrazione Trump, molti Stati hanno limitato il diritto all’interruzione di gravidanza a sei settimane (cioè quando si inizia a percepire il battito cardiaco). L’Alabama l’ha vietata senza eccezioni prevedendo fino a 99 anni di carcere per i medici che la praticano.
Ma se Atene piange…l’Italia non ride
Anche in Italia si assiste con sconcerto alla decisione americana e (quasi) tutti e tutte corrono a proclamare come inviolabile il diritto delle donne di disporre del proprio corpo. Viene però da chiedersi dove vivano queste menti illuminate e democratiche. Si fa fatica a pensare che vivano in Italia e che ci rappresentino. Certamente non hanno mai messo piede, per loro fortuna, in un ospedale pubblico per ricorrere, o accompagnare una donna a ricorrere, all’interruzione di gravidanza. Avrebbero scoperto che in molti ospedali tutti i ginecologi sono obiettori di coscienza.
La difficile applicazione della legge 194
Dall’indagine ‘Mai Dati!’, condotta su oltre 180 strutture da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, presentata con l’Associazione Luca Coscioni alla conferenza stampa organizzata alla Camera dei Deputati lo scorso 17 maggio, in occasione dei 44 anni dall’entrata in vigore della legge 194, emerge che sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia con il 100% di obiettori di coscienza includendo ginecologi, anestesisti, infermieri o OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.
Una situazione davvero desolante
Un quadro desolante. In 11 regioni c’è almeno un ospedale con il 100% di medici obiettori, Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto. Le più inadempienti sono la Sardegna e la Sicilia, con più dell’80%. Ad Andria (Puglia) sono obiettori al 100% sia i ginecologi e sia il personale non medico. Sempre in Puglia, nel polo ospedaliero di Francavilla Fontana, più del 90% di medici ginecologi, anestesisti e infermieri sono obiettori. I non obiettori, in totale, sarebbero il 33%. Le autrici della ricerca dicono di più. “La valutazione del numero degli obiettori e dei non obiettori è troppo spesso molto lontana dalla realtà. Infatti in alcuni ospedali alcuni non obiettori eseguono solo ecografie oppure ci sono non obiettori che lavorano in ospedali nei quali non esiste il servizio di Interruzione Volontaria di Gravidanza e quindi non ne eseguono”.
Certamente l’obiezione di coscienza è prevista dalla legge 194 ma la stessa legge, vieta «l’obiezione di struttura». Prevede cioè che il numero di medici obiettori di un ospedale non deve impedire che vi si pratichino interventi di IGV. Inoltre l’obiezione di coscienza, secondo uno studio del 2011/2012 condotto da Silvia De Zordo, antropologa ricercatrice all’Università di Barcellona, all’interno di quatto ospedali di Milano e Roma, non risponde solo a motivi religiosi ed etici che pure, in uno stato laico, non dovrebbero avere cittadinanza in un ospedale pubblico.
Paure e opportunismo per non applicare la legge
Alcuni medici ad esempio “diventano obiettori per evitare di essere discriminati dai colleghi e da primari obiettori (….) o perché gli interventi di interruzione di gravidanza sono operazioni poco complesse, di routine, e quindi sono considerate dai medici pratiche poco gratificanti. Negli ospedali con molti obiettori i medici che accettano di praticarle sono spesso costretti a farne un gran numero o a ridursi a fare solo quello per compensare il lavoro che non viene svolto dai colleghi obiettori.
Anche dove gli obiettori sono meno, i primari – spesso maschi e obiettori – costringono i medici più giovani a trascorrere anni negli ambulatori dove si fanno le interruzioni di gravidanza. Organizzano turni di lavoro in modo che a loro venga assegnato questo tipo di operazione. Si alimenta così un circolo vizioso. Molti giovani ginecologi, per la paura di essere relegati a praticare solo interruzioni di gravidanza e vedere la propria carriera arenata in un ambulatorio, si dichiarano obiettori.”
… una questione di soldi?
L’altra motivazione è economica. In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza è una delle poche pratiche che per la sanità pubblica non può essere intramoenia, cioè praticata in libera professione all’interno degli ambulatori degli ospedali, facendosi pagare dalle pazienti. Alcuni ginecologi hanno risposto alle domande di Silvia De Zordo che se potessero essere pagati non si dichiarerebbero obiettori. La legge 194 dunque è male applicata oppure del tutto ignorata. Con la connivenza di chi sa ma non fa nulla per renderla attuale. Salvo poi indignarsi quando il movimento pro-life l’avrà finalmente cancellata.
Cinzia Gaeta