Può il giurista, in certe situazione straordinarie, andare oltre la legge? Non fermarsi, cioè, ai cavilli ma badare alla sostanza?
Questi dubbi affliggono tutti gli uomini che si occupano di diritto quando la politica li stressa a supportare giuridicamente certe scelte normative ai limiti della incostituzionalità o comunque a rischio di violazione delle norme internazionali.
Un classico esempio di una situazione di questo genere accadde alla fine della Seconda Guerra mondiale quando i tre grandi vincitori Roosevelt, Stalin e Churchill decisero di portare in tribunale i nazisti, responsabili dei disastri causati durante il conflitto. Disastri che erano andati ben al di là di quelle che erano state le situazioni drammaticamente già conosciute dalle popolazioni mondiali in occasione dei precedenti conflitti. All’inizio Churchill era decisamente contrario a tale ipotesi e Stalin incerto. Fu Roosevelt a convincerli di fare la scelta che poi fu adottata. In quel frangente si decise di istituire un tribunale speciale che giudicasse i reati commessi dalla classe dirigente, militare e civile tedesca dal ’39 al ’45, durante il nazismo. Tecnicamente per molti fu il battesimo di un “mostro giuridico”. Pur di raggiungere l’obiettivo voluto dai leader politici (una condanna pubblica ed esemplare dei criminali nazisti!), i migliori giuristi del tempo dovettero “strappare” e superare alcuni ostacoli in una situazione normale… non superabili.
L’esempio più semplice e chiaro per comprendere tale aspetto è quello relativo alla necessità che ciascun cittadino del mondo sia sempre giudicato da un magistrato indipendente e libero nel suo giudizio e che nessun cittadino possa essere imputato di un reato che al momento della sua commissione non fosse considerato tale. Allora, prevalse l’obiettivo etico e politico della necessità di una solenne e potente condanna dei reati commessi dalla classe dirigente nazista sotto l’egida di Adolf Hitler: la sostanza dell’obiettivo doveva prevalere sulla forma della legge.
E così avvenne…
I maggiori responsabili degli eccidi commessi dai tedeschi furono processati e condannati a morte, con un pubblico processo a cui presenziò tutta la stampa internazionale. Mai, come in quell’occasione, “il fine giustificava i mezzi”, tanto per richiamare ancora una volta il famoso principio scritto dal cinico e pragmatico Nicolò Machiavelli. Perché questo lungo e articolato ragionamento proprio oggi, nel dicembre di questo caotico e disordinato 2023? Per una semplice ragione. L’Ucraina sta rischiando di vedersi tagliati i fondi finanziari che hanno supportato prima la resistenza e poi la controffensiva, oggi bloccata, nei confronti dell’invasore russo. Il lungo tempo passato dall’inizio della guerra, le drammatiche conseguenze economiche delle varie sanzioni emanate a carico di Mosca, la stanchezza dei popoli di dover continuare a finanziare la vittima di un conflitto in cui il carnefice è chiaro chi sia ma di cui purtroppo non si vede una concreta exit strategy, stanno mettendo in dubbio l’alleanza di tutti i paesi occidentali verso Zelensky e il suo popolo. Stanno mettendo in dubbio la continuità dei finanziamenti all’Ucraina.
Perché dover ancora buttare nel calderone bellico risorse finanziarie che invece potrebbero servire nei singoli paesi ad attuare politiche economiche utili a ridurre le disuguaglianze e il malessere della classe media?
Christian Rocca, direttore de Linkiesta ha lanciato una stimolante riflessione. Perché non utilizzare i 300 miliardi di dollari sequestrati in questi mesi in tutto il mondo e di proprietà del Cremlino? Sono soldi russi che si trovano nelle banche occidentali e in particolare in Europa e in Belgio grazie ad una brillante intuizione dell’allora nostro Presidente del Consiglio Mario Draghi: furono emessi provvedimenti di sequestro nei confronti della Banca Centrale russa e di alcuni oligarchi russi. Stiamo parlando di 300 miliardi di dollari che hanno già prodotto 3 miliardi di dollari di interessi l’anno e che quindi a febbraio 2024 avranno prodotto, di per sé, 6 miliardi di dollari in più! Naturalmente anche quelli congelati. L’attuale presidenza spagnola dell’UE ha proposto per prima di usare questi fondi per aiutare l’Ucraina e, proprio in questi giorni, il neo ministro degli esteri inglese David Cameron si è allineato su tale proposta sostenendo come sia doveroso farlo e che non debbano esistere impedimenti giuridici o morali sufficienti a sostenere tesi contrarie.
Il Presidente americano Biden ha affidato ad una commissione di esperti, guidata dall’illustre professore emerito di Harvard, Laurence H. Tribe, il compito di studiare la risoluzione di tutte le questioni legali connesse al sequestro e alla confisca dei beni russi e al loro utilizzo per far pagare i costi della guerra in corso all’unico vero responsabile, Vladimir Putin. Si è aperto ovviamente un dibattito non solo giuridico ma anche politico che è in corso anche a causa di alcuni dubbi sulla legittimità di un tale provvedimento. Orban si è schierato naturalmente contro, Germania e Francia sono perplesse, il governo Meloni è silenzioso. Putin, ovviamente, minaccia, ormai da oltre un anno, gravissime ritorsioni nel caso vengano adottati questi provvedimenti di dissequestro e riutilizzo di fondi russi per finanziare la guerra contro i russi.
Tornando all’incipit di questo contributo, credo che anche in questo caso, come a Norimberga, la politica debba fare il suo mestiere, far sentire la sua voce, argomentando, se convinta, le ragioni di una decisione che potrebbe essere decisiva non solo per le sorti del futuro dell’Ucraina, ma anche di tutti noi europei. In fondo, si tratta di far pagare al responsabile che ha causato dei danni immani … il risarcimento almeno di una parte degli stessi. Se infatti Kiev dovesse essere sconfitta dall’esercito russo, il rischio di un effetto domino sarebbe tutt’altro che … un rischio.
Riccardo Rossotto