“Anno nuovo, vita nuova”, ci ricorda un adagio dei nostri vecchi che vorrebbe trasferirci fiducia e speranza. Viviamo tempi complessi, incerti, confusi e angosciati. Per difenderci e sopravvivere rischiamo di chiuderci nei nostri laghetti privati più ristretti, nella cuccia degli affetti più cari, quelli che non dovrebbero mai tradirci.

In questo quadro la tentazione è quella di fare da soli, cercando ciascuno di ricavare il massimo o almeno di limitare i danni nella fase caotica e di transizione che stiamo attraversando. Invece di partecipare di più alla vita pubblica e ai beni comuni ci chiudiamo in un astensionismo quasi offeso e preoccupato per cosa ci sta accadendo intorno. Dobbiamo invece proteggerci dai venti nazionalisti e dalle tempeste che, privi di un ombrello comune, ci faranno dei danni enormi.

Sarà forse sperimentare le debolezze che scelte miopi ci stanno provocando – ha scritto Andrea Lavazza su l’Avvenire – a rivalutare istituzioni e sforzi comuni di cui oggi non sembra sentirsi il bisogno. L’integrazione europea, per riscrivere l’adagio di Churchill, è il peggior progetto che abbiamo, esclusi tutti gli altri provati finora”. In questo contesto buio e senza troppe speranze, ho provato a invertire il trend che ci sta soffocando, facendomi una iniezione di ottimismo realistico e non velleitario. Ecco perché voglio proprio socializzarvi le mie riflessioni in questo primo contributo del 2025.

La grande opportunità di Giorgia Meloni

Anche se la notizia è passata quasi inosservata sui grandi giornali nazionali (secondo alcuni volutamente ignorata dalla stampa di sinistra) ha destato una certa sorpresa la citazione formale ed entusiastica di Trump nei confronti del nostro Presidente del Consiglio. Giovedì 12 dicembre, infatti, il Presidente eletto degli Stati Uniti d’America, ai microfoni di Class Cnbc-Milano Finanza, nel parterre di Wall Street dove Trump si era recato per suonare la campanella di inizio della seduta borsistica, ha dichiarato che lavorerà volentieri con Giorgia Meloni. Ma non solo, ha risposto, a seguito di una specifica domanda della giornalista se pensasse di ricorrere alla Premier italiana per aprire un dialogo con l’Europa, un forte e chiaro “Si”, senza alcun tentennamento.

In un momento in cui sussistono grandi timori in Europa ma anche nel mondo in materia di dazi potenziali in arrivo da Washington, il fatto che la Meloni possa godere di un rapporto privilegiato con Trump è per l’Italia un motivo di orgoglio e di apertura di impreviste opportunità diplomatiche e politiche. Non si era mai verificata una situazione in Europa come quella che stiamo vivendo con le due nazioni, Francia e Germania, i tradizionali motori politici ed economici dell’Unione Europea, fin dalla sua costituzione, in crisi per ragioni apparentemente diverse ma sostanzialmente analoghe: il malessere dei cittadini tedeschi e francesi di fronte a due leadership che non rispondono più alle loro esigenze.

Si è sempre detto che quando la Germania starnutisce, l’intera Europa si prende il raffreddore.  In questo 2025, Berlino ha perso la sua proverbiale potenza e Parigi soffre di una delicatissima crisi di instabilità. Il voto di sfiducia che ha bocciato il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, ha aperto le porte alle elezioni anticipate, già fissate per il prossimo 23 febbraio (la quarta volta che, nella sua storia, la Repubblica Federale andrà al voto non alla scadenza naturale del mandato parlamentare: per darvi una idea della differenza, in Italia ne abbiamo avute nove di chiamate alle urne in via anticipata!).

Sembra molto probabile che il prossimo Cancelliere, dopo la coalizione denominata “Semaforo”, sarà espresso dal Centro Destra. In Francia, invece, non si potrà tornare alle urne fino al prossimo giugno proprio per un disposto costituzionale. A questo contesto incerto e difficile che stanno vivendo Francia e Germania, si deve aggiungere la nuova elezione presidenziale che si terrà in Romania dopo l’annullamento intervenuto per decisione della Corte Costituzionale di Bucarest a causa delle provate manipolazioni del voto operate dalla Russia: un evento mai capitato nella storia del Paese.

L’Italia è diventata dunque, a sorpresa, un’isola di apparente stabilità, in un continente nel quale l’orizzonte politico è incerto e non rassicurante. Non dimentichiamoci che la nuova Commissione Europea è entrata in carica con la maggioranza più risicata della storia comunitaria facendo presagire preoccupanti difficoltà nel gestire le principali e fondamentali questioni sul tavolo sia di politica europea sia di politica internazionale. A ciò si aggiunga un quadro macro economico non certo favorevole: l’economia rallenta con l’industria europea in calo di produttività e reddittività.

L’avvento di Trump alla Casa Bianca rischia di aprire, come detto, anche ulteriori fronti di possibili conflittualità con Bruxelles come la tensione sui dazi, la ripartizione dei costi della Nato, la condivisione di un’agenda climatica comune. Ecco dunque in questo fosco quadro generale la grande opportunità che si apre per il nostro Presidente del Consiglio che, almeno secondo le prime dichiarazioni del Presidente eletto in America, potrebbe diventare il mediatore virtuoso dei delicatissimi dossier sul tavolo delle relazioni tra Europa e Stati Uniti. Relazioni fondamentali per conservare ed implementare un fronte delle democrazie occidentali coeso e determinato a difendersi contro gli attacchi più o  meno scomposti delle nuove autarchie emergenti.

Certo, Giorgia Meloni dovrà dare dei segnali di cambiamento, coinvolgendo nella gestione strategica del nostro Paese, le risorse umane migliori, a prescindere dalle loro appartenenze partitiche. Se riuscirà ad uscire da una logica di utilizzo delle professionalità esistenti all’interno esclusivamente del suo “cerchio magico”, potrebbe davvero ritagliarsi il ruolo di una nuova Merkel italiana ed europea.

Abbiamo dunque una grande opportunità davanti a noi: siamo un Paese considerato stabile in confronto alle instabilità degli altri grandi partner europei, non sprechiamo questa opzione che ha dei termini temporali ben precisi. Una volta insediato formalmente Trump alla Casa Bianca, nei successivi 60-90 giorni si giocheranno le partite decisive sia dal punto di vista strategico, sia tattico. In questo slot il nostro Presidente del Consiglio si deve giocare al meglio questa chance, trovando delle soluzioni costruttive ai due grandi temi che angosciano i cittadini europei: la Difesa e la Sicurezza.

I conflitti pendenti: le possibili exit strategy

Tutti i protagonisti stanno aspettando l’investitura ufficiale di Trump per assumere delle posizioni formali in merito ai conflitti esistenti. Assistiamo tutti i giorni a dichiarazioni  mediatiche dei leader dei vari paesi coinvolti nei conflitti militari che rappresentano quasi dei movimenti sulla scacchiera in attesa dello “scacco matto” auspicabilmente nella direzione della pace e non di un’escalation militare.

Nessuno credo possa dubitare delle capacità negoziali di un business man come Donald Trump che ha già detto che nei primi mesi della sua presidenza cercherà di portare almeno ad una tregua i contendenti per poi costruire una pace duratura. Come? Lo abbiamo già detto e scritto nel recente passato: in Ucraina la soluzione più probabile è quella di un armistizio che fotografi la situazione militare esistente, individuando dei confini transitori fra gli eserciti, probabilmente garantiti da una forza internazionale, neutrale ed indipendente, che potrebbe essere rappresentata anche da un misto di contingenti europei e delle Nazioni Unite.

Si immagina anche che, in alcune zone attualmente occupate dall’Armata Rossa, si possano programmare dei referendum (la cui regolarità dovrà essere garantita da degli osservatori internazionali) chiedendo ai cittadini di quei territori di manifestare la loro volontà di rimanere ucraini o di diventare cittadini russi. In tal modo si potrebbe fermare subito il conflitto e poi, con più calma e tranquillità, programmare i passi per arrivare ad una pacificazione anche politica dei vari territori interessati tragicamente dalla guerra.

A quel punto si potrebbero concentrare le risorse politiche ed economiche per un grande piano Marshall di rilancio e ricostruzione dell’Ucraina distrutta da questi anni di conflitto. Nel Medioriente, anche in relazione a quanto accaduto in Siria, la situazione è più complessa ed intricata: sicuramente bisognerà lavorare su una soluzione che, da un lato garantisca la sicurezza dello stato di Israele contro la possibile replica di eventi terroristici come quello del 7 ottobre 2023 e dall’altro assicuri la tutela dei diritti del popolo palestinese. Una soluzione che comunque dovrà prevedere strumenti e rimedi anche contro l’antisemitismo dilagante.

Le guerre “dimenticate” da non… dimenticare

Ucraina e Medioriente hanno monopolizzato l’attenzione politica e mediatica mondiale in questi ultimi due anni, ma esistono altre situazioni di conflitti militari che non vanno sottovalutate o, peggio, dimenticate. Potrebbero esplodere da un momento all’altro riaprendo focolai facilmente strumentalizzabili dai membri dell’Asse del Male e cioé la Cina, l’Iran, la Russia e la Corea del Nord.

Mi riferisco, principalmente, al Sahel dove sta rinascendo lo Stato del terrorismo islamico, con l’aiuto dei russi della Wagner; a Taiwan dove ormai periodicamente si rischia che la propaganda mediatica reciproca si trasformi in un conflitto militare tra la Cina di Pechino e la Cina di Taipei;  alla Georgia dove, dopo le recenti elezioni il cui esito ha lasciato molti dubbi sulla loro regolarità, si teme una russificazione del paese con una guerra civile tra la maggioranza dei cittadini georgiani che vorrebbero entrare nelle sfere di influenza dell’Europa occidentale e una minoranza favorevole ad una alleanza con Mosca; al Sudan dove è in corso un terribile conflitto tra tribù locali che, come sempre, avendo come protagonisti dei popoli per lo più sconosciuti o comunque marginali negli scacchieri diplomatici, non viene quasi mai menzionato dai media ed è finito nel dimenticatoio, nonostante le stragi che vengono perpetrate ogni giorno; all’Azerbaigian dove ormai è in corso da mesi, nella regione caucasica a nord del paese, la caccia agli armeni, che sul presupposto di rivendicazioni etniche ed identitarie (e sostanziali interessi economici), sono stati perseguitati e costretti a lasciare i loro villaggi e i loro territori.

Ce ne saremo sicuramente dimenticate alcune altre situazioni che, ripetiamo, devono essere costantemente  monitorizzate per evitare che diano luogo ad improvvise esplosioni di nuove violenze e di possibili manipolazioni da parte dei grandi giocatori mondiali in cerca di spunti per il loro “Grande Gioco” mirato a ridurre il potere e le influenze politiche delle democrazie occidentali in favore di nuove geo-mappe che vedano i paesi emergenti in una posizione di leadership.

La revisione del ruolo e della governance dell’Onu

Non ci stancheremo  mai di ripeterlo: gli 80 anni di relativa pace mondiale sono stati anche merito dell’intuizione dei vincitori dell’ultima guerra di dar vita, valorizzando le esperienze negative della Società delle Nazioni, ad un nuovo organismo internazionale che presidiasse il mantenimento della pace in tutto il pianeta. L’Onu, dopo una trentina d’anni di svolgimento adeguato del suo ruolo di pacificatore e di garante delle tregue conquistate in vari focolai di guerra in tutto il pianeta, negli ultimi anni ha perso completamente di posizionamento.

Le ragioni sono tante ma oggi dobbiamo concentrarci sulla possibilità di attualizzare una governance ormai obsoleta, immaginando delle “regole del gioco” più rappresentative delle realtà delle attuali relazioni delle potenze nel  mondo. Senza un intervento lucido e determinato da effettuarsi a breve, nel corso di questo 2025, il fallimento del sogno dell’Onu diventerà una tragica e triste realtà.

La necessità di una partecipazione contro i facili populismi

I dati di affluenza alle urne che emergono dalle numerose scadenze elettorali avvenute nel corso del 2024, ci forniscono un quadro preoccupante sulla partecipazione dei cittadini, in tutto il pianeta, al momento fondamentale di una democrazia: l’elezione politica. Bisogna uscire, come dicevamo all’inizio, dalla tentazione di chiuderci nel proprio privato, ormai sfiduciati da una politica inefficiente e autoreferenziale che non risponde al bisogno dei cittadini e non dà luogo ad una riduzione del malessere in molti stati.

Ciascuno di noi deve, nel proprio piccolo mondo famigliare e amicale, in tutte le proprie comunità diventare un ambasciatore di una maggior partecipazione di tutti alla vita politica del paese, a prescindere dalle opinioni partitiche di ciascuno di noi, con il rispetto di quelle diverse dalle nostre. Con un astensionismo medio del 50% stiamo vivendo un contesto politico in cui un quarto dei cittadini aventi diritto al voto in un paese può legittimamente avere la maggioranza in Parlamento. Tale dato è grave e deve farci riflettere prima che sia troppo tardi. Non sprechiamo quella straordinaria opportunità rappresentata dal diritto conquistato con il sangue di poter esprimere le nostre opinioni politiche nel segreto dell’urna, come ci è stato rappresentato in maniera straordinaria nell’ultimo film di Paola Cortellesi. Buon 2025 a tutti.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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