Marcia degli “Imbavagliati”? Regime che “ha paura, vuole chiuderci perché può essere giudicato”? Nel 1979 aveva un senso, nel 2019 campagna più sgangherata non si poteva orchestrare. Il Regime truculento sarebbe quello che ha imbottito Radio Radicale con più di un centinaio di milioni lungo un trentennio nel quale l’emittente ha potuto godere del grande privilegio di essere – insieme – organo di partito e soggetto titolare di servizio pubblico. Un’eccezione che non può divenire precedente, se non vogliamo che domani Radio Padania chieda contributi e status di servizio pubblico per trasmette le sedute del consiglio regionale lombardo o dopodomani Radio 5 Stelle reclami i soldi del contribuente visto che manda in onda le inaugurazioni dell’anno giudiziario.
Ciò significa che su Radio Radicale debba calare il silenzio? Neanche per sogno. Significa soltanto che va cercata per Radio Radicale 2019 una soluzione diversa da Radio Radicale 1979, anche perché la sola giustificazione del suo essere “servizio pubblico” è rappresentata da una trasmissione (diretta dal Parlamento) ormai ampiamente coperta da altri. E da questo punto di vista la campagna vittimista Regime Cattivo contro Radio Antipartitocratica Buona, è controproducente. Avrebbero avuto – e ancora avrebbero – invece senso due altre possibili campagne, peraltro non contradditorie fra di loro.
La prima: chiedere per Radio Radicale un vero salto di qualità in una logica di servizio pubblico. Mamma Rai ha 13.058 dipendenti, dei quali 1760 giornalisti. Francamente 53 unità in più, per dar vita a una Rai4 tutta dedicata alle trasmissioni in diretta da ogni sede politica, economica, giudiziaria di rilievo, sarebbero un vero affare per la Rai (più offerta informativa reale), per il contribuente (informazione senza filtri) e per una Radio Radicale che infine coronerebbe la propria missione di servizio pubblico. Da Radio Radicale a Rai 4: questa la campagna per la quale credo una grande fetta di Paese si sarebbe mobilitata, a prescindere dal colore politico.
Soluzione impossibile, troppo complicata, impedita da ostacoli burocratici? Non ci credo ma in ogni caso l’alternativa c’è. Non si può predicare libero mercato e non tentare nemmeno di praticarlo. Perché escludere in via teorica che esistano forze imprenditoriali sufficientemente illuminate da capire che il patrimonio civile e le risorse umane rappresentate da Radio Radicale possano essere anche un investimento economico, soprattutto in tempi nei quali la carta stampata affonda nella crisi e gli stessi numeri del media tv non sono incoraggianti? Io credo che la radio sia il media che meglio si sposa con l’era dei social, e che una campagna pubblica per cercare energie e forze capaci di aprire un nuovo ciclo di Radio Radicale – senza snaturarne in alcun modo l’identità – sarebbe coronata dal successo.
Lasciatemi infine citare l’ultima buona ragione per rompere lo status quo dei denari pubblici sempre e comunque a Radio Radicale. E’ la ragione del Partito Radicale, di un partito dei radicali che per far vivere una Radio ha ridotto sé stesso al sostanziale nulla. Altro che “Regime che ha paura”: il partito dei radicali non fa più paura a nessuno, non c’è più, si è autoridotto a generica ONG di istanze mondialiste buoniste, ha celebrato il proprio suicidio elettorale pur di vedersi garantite le quote di finanziamenti pubblici indispensabili a preservare una radio che di quelli ha campato. Liberare il partito dei radicali dalla condizione di ostaggio, occupato dal finanziamento pubblico, è l’altra buona, anzi ottima ragione per cambiare. Dopo mezzo secolo di soldi pubblici, spalancare le finestre sarebbe tutta salute.
Giovanni Negri