Torno sul tema Rousseau.
Sul ruolo di questa piattaforma digitale nel caotico momento che sta vivendo il Movimento creato da Beppe Grillo.
Il tema dovrebbe costituire, in un paese normale, una priorità. Invece è trattato dai media e da tutti noi alternativamente con superficialità, disinteresse, sorpresa e soprattutto snobbismo. Credo che invece la piattaforma digitale ideata da Casaleggio padre meriterebbe molta più attenzione perché, udite udite, a mio avviso impatta sulla stessa saldezza delle nostre democrazie.
La questione sulla legittimità o meno di Rousseau sembra archiviata.
Messa sotto il tappeto.
Io capisco che questo possa avvenire seguendo gli auspici dei gestori; mi stupisco quando avviene da parte di coloro che la vivono con preoccupazione o addirittura ansia.
Provo dunque a ripercorrere le tappe principali di questa iniziativa mediatica ideata ormai quasi 10 anni fa da Casaleggio.
Mi ha aiutato in questa ricostruzione storica una approfondita analisi apparsa sul quotidiano online L’Inkiesta, a firma Nicola Biondo.
Il giornalista ha recuperato le carte legali della storia di Rousseau e ne ha tracciato un profilo estremamente interessante per capirne l’origine e la sua successiva implementazione. Suggerisco a tutti gli interessati di andarsi a leggere lo studio di Biondo.
Nella prima decade di questo secolo Beppe Grillo lavorando in team con Roberto Casaleggio, il suo principale mentore in quegli anni, scese in campo pubblicamente con una grande campagna mediatica contro i conflitti di interesse che caratterizzavano il nostro capitalismo.
Grillo, partecipando alle assemblee di società quotate, per tutte Telecom, evidenziava, chiedendone la verbalizzazione, le distorsioni che i conflitti di interesse che caratterizzavano le élite al comando provocavano sul mercato sia finanziario sia economico.
Dieci anni dopo – e Biondo ne sottolinea giustamente la clamorosa contraddizione – l’associazione Rousseau, proprietaria della piattaforma digitale, rappresenta proprio un esempio di un macroscopico conflitto di interesse: l’associazione svolge il compito di “dominus” del Movimento 5 Stelle senza averne formalmente alcun tipo di carica diretta nella struttura del partito. Dirige il Movimento attraverso una associazione di tipo commerciale che gestisce appunto la piattaforma denominata Rousseau.
Come?
State a sentire.
Le aziende che entrano in contatto commerciale con l’associazione (pagandone lauti onorari per la consulenza ricevuta) diventano clienti della stessa garantendosi un rapporto diretto e privilegiato con tutti i parlamentari del Movimento grillino. In pratica, l’associazione Rousseau rappresenta una sofisticata struttura professionale di lobby che “vende” alle imprese interessate la possibilità di avere una “corsia preferenziale” di pressione-confronto con i vari esponenti grillini eletti alla Camera dei Deputati o in Senato.
Sarebbe interessante andarsi a leggere la lista dei clienti di Rousseau per capire la rete di relazioni più o meno trasparenti esistenti oggi tra la testa del Movimento 5 Stelle, i suoi parlamentari e il mondo imprenditoriale italiano.
Nel 2016, pochi giorni prima di morire, Roberto Casaleggio fonda l’attuale associazione Rousseau lasciando il timone del comando al figlio Davide e garantendogli una governance che praticamente lo rende, con Beppe Grillo, intoccabile e insostituibile.
La piattaforma Rousseau diventa un benchmark della tanto propagandata “democrazia diretta” auspicata e voluta da tutti i populisti del mondo, Movimento 5 Stelle compreso. Uno strumento del populismo contro il monopolio delle élite che hanno sfasciato il pianeta.
Attraverso la piattaforma Rousseau avvengono tutte le consultazioni più importanti per determinare l’indirizzo politico e il voto dei parlamentari grillini, attualmente, non dimentichiamolo, in maggioranza relativa nei due rami del Parlamento e con un vincolo di mandato formale e sostanziale, contrario al nostro dettato costituzionale.
In questo straordinario progetto di acquisizione e gestione del potere all’interno del partito e nel mondo delle imprese, nel 2017 si verifica un “delicato” sinistro.
L’Autorità Garante della Privacy ravvisa nelle modalità di acquisizione dei dati dei propri iscritti alcune violazioni alla normativa sulla privacy e contesta l’addebito ai responsabili dell’associazione.
Il confronto, anche tecnologico, tra l’associazione e i funzionari dell’Autorità, non porta ad alcun chiarimento, anzi alla conferma che non esiste alcuna tutela della privacy degli aventi diritto e la gestione dei dati è assolutamente discrezionale, con gravi rischi di manipolazione, da parte dei responsabili della piattaforma.
Il Garante emette un provvedimento sanzionatorio, imponendo delle modifiche tecnologiche al format utilizzato dalla piattaforma di Casaleggio. Ne ho già parlato in un mio precedente contributo su L’Incontro.
Da quel momento il problema viene accantonato: non se ne sa più nulla. La stampa smette di occuparsi della ottemperanza di Rousseau alle prescrizioni imposte dal Garante della Privacy e ancor oggi non si hanno notizie precise se siano state o meno apportate le necessarie modifiche mirate al rispetto della normativa sulla privacy.
Ma c’è di più!
L’attività lobbistica dell’associazione, quasi senza pudore, si manifesta allorquando alcuni esponenti del Movimento assumono cariche di governo nell’ambito del primo Gabinetto Conte.
Infatti, il Ministro del Lavoro Di Maio apre il dossier sui rider di Deliveroo per studiare e proporre una riforma a tutela dei precari impiegati nel modello di business della consegna dei pacchi.
Ebbene, Deliveroo, il cattivo datore di lavoro, è proprio un cliente di Rousseau e quindi il presumere una relazione lobbistica tra gli interessi del datore di lavoro Deliveroo nei confronti del Ministro del Lavoro che si sta occupando della normativa a tutela dei suoi dipendenti-precari, è quanto meno legittimo.
I casi concreti potrebbero essere ulteriori ma in questa sede mi interessa evidenziare ai lettori due altri aspetti di questa situazione che, lo ripeto, è troppo sottovalutata e non lucidamente affrontata dai nostri rappresentanti istituzionali e dai nostri organi di controllo anche giudiziari.
La prima riflessione riguarda i rapporti tra i parlamentari eletti nel gruppo M5S e l’associazione.
Proprio in questi giorni alcuni di essi, evidentemente non più in sintonia con Casaleggio e i suoi colleghi, hanno ipotizzato di risolvere il vincolo contrattuale che esiste e che disciplina il comportamento dei parlamentari nei confronti di Rousseau.
Bisogna immaginare una modifica del regolamento del gruppo grillino sia al Senato sia alla Camera. Ma secondo alcuni non basterebbe neanche questo tipo di intervento regolatorio perché sarebbe necessario in realtà modificare lo statuto dell’associazione.
Il problema è che ogni modifica statutaria, proprio alla luce dello statuto vigente, deve essere autorizzata da Di Maio (il capo politico) e dal garante Beppe Grillo e ratificata dal voto degli attivisti.
Dunque, si voterebbe su Rousseau per decidere di non rendere vincolante il voto su Rousseau.
Un corto circuito incredibile e quindi impossibile.
Purtroppo il format legale, così com’è è irreversibile e non è modificabile.
Una distorsione inaccettabile in una democrazia come la nostra, assolutamente paradossale se pensiamo che il suo gestore è proprio colui che è diventato un leader carismatico della nostra politica nazionale grazie alle sue battaglie proprio contro il conflitto di interessi delle élite imprenditoriali e politiche.
Oggi sono gli stessi parlamentari grillini a riportare la questione del conflitto di interessi sulle prime pagine dei giornali proponendo una riforma del rapporto con Rousseau, allo stato impossibile proprio per come è articolato lo statuto dell’associazione.
Il tema è: diretta da chi? Come, quando e perché?
Proviamo a entrare nel dettaglio.
Ha recentemente sottolineato Michele Ainis, su la Repubblica, come in un referendum conti più il quesito che non la risposta dell’elettore. E’ infatti il quesito posto che orienta il risultato e ne prefigura gli esiti. Ainis fa l’esempio di una questione fiscale: “Una cosa è domandare agli elettori se vogliono pagare meno tasse, un’altra è chiedergli se vogliono rinunciare alla scuola pubblica o alla sanità gratuita. Altro è un quesito specifico, altro una interrogazione indiretta, che è un modo singolare di esercitare la democrazia diretta”.
E ancora: alle consultazioni indette da Rousseau votano gli “iscritti certificati” da almeno 6 mesi. Dunque, in base ai dati forniti, 115.000 persone, l’1% di chi votò i 5 Stelle alle politiche del marzo 2018.
Nelle ultime consultazioni lanciate da Rousseau sul voto favorevole al governo Conte 2, votarono in 25.000 dunque circa 1/5 degli aventi diritto. Ci sembrano davvero troppo pochi per determinare scelte politiche di tale importanza.
Ulteriore considerazione finale: l’articolo 4 dello statuto di Rousseau stabilisce che entro 5 giorni dalla pubblicazione dei risultati, la consultazione va ripetuta se lo chiedono il garante (Beppe Grillo) o il capo politico del Movimento (Luigi Di Maio).
Nella seconda votazione occorre superare il quorum della maggioranza assoluta, ciò nonostante i grillini abbiano sempre sostenuto la necessità di avere dei referendum senza quorum.
Quando le nostre autorità decideranno di porre fine a questo macroscopico esempio di conflitto diretto che presenta addirittura profili di incostituzionalità?
La speranza è che questo grido di allarme smuova l’attuale oblio.
Riccardo Rossotto
*In copertina, Davide Casaleggio in Piazza del Popolo a Roma il 2 marzo 2018 (Marco Iacobucci Epp/Shutterstock)