Come era già stato anticipato da L’INCONTRO dell’8 gennaio u.s., Riccardo Rossotto ha tenuto, presso il Circolo dei Lettori di Torino, sito nel prestigioso Palazzo Graneri della Rocca, un ciclo di conferenze dedicate alla guerra civile. Partendo, come è giusto, dalla recente guerra in Ucraina, dove persone che convivevano civilmente insieme, si sono armate “unicamente per sopraffarsi”, per “annientare il nemico della porta accanto”, Rossotto, da storico di valore quale è, si è posto la domanda che spesso ci poniamo tutti, senza saper rispondere: “Perché è successo e, soprattutto, perché continua a succedere”.

Così, con una analisi attenta delle cause e delle conseguenze che hanno portato a questi drammatici conflitti tra concittadini dello stesso paese, il ciclo di conferenze si è articolato in più incontri che, partendo dalla guerra civile a Roma, all’epoca di Mario e Silla (dal 49 al 45 a.C.), sono poi proseguiti con avvenimenti più vicini a noi, quali la guerra civile americana (dal 1861 al 1865) e la guerra civile russa (dal 1918 al 1922). Sino a giungere, nel secolo scorso, a due drammatiche guerre civili quali quella spagnola (tra il 1936 e il 1939) e quella italiana (tra il 1943 e il 1945).

Non è certo possibile, in questa sede, ripercorrere tutti gli incontri, assai interessanti, tenutisi nel salone aulico del Circolo dei Lettori, alla presenza di un pubblico attento e ci soffermeremo quindi su due sole considerazioni che sono emerse dalle conferenze di Rossotto.

La prima risale al pensiero di Hobbes, filosofo inglese del 1.600, che aveva tra i primi pensato e scritto sull’origine dello Stato e sulle sue crisi. Ebbene, questo filosofo (che ebbe a vivere in prima persona la gravissima crisi del suo Paese, che sfocerà nella guerra civile inglese tra il 1642 e il 1651), tra i casi che storicamente avevano in sé tutti gli elementi dello “stato di natura”, cioè di quella situazione nella quale gli uomini, secondo lui, erano “naturalmente nemici uno dell’altro” (il famoso “homo homini lupus”), indica proprio, tra gli altri, quelli nei quali si scatenò la guerra civile.

La seconda ci rimanda, in breve, a quella pagina drammatica della storia del nostro Paese, tra il 1943 ed il 1945. Ebbene, Rossotto ha opportunamente ricordato come lo stesso termine “guerra civile” non sia mai neppure stato pronunciato, nel dibattito pubblico, sino al 1991, data della pubblicazione del libro di Claudio Pavone dal significativo titolo “Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza”, mentre in precedenza si faceva riferimento solo al termine Resistenza per indicare il periodo citato, come se gli italiani avessero parteggiato tutti in massa da una parte, quella “giusta”, contro il nemico nazista, mentre il termine guerra civile rende in modo più preciso il fatto, ineludibile, che volenti o nolenti, buona parte degli italiani del nord parteggiarono per la Repubblica Sociale Italiana.

Il recente volume di Gianni Oliva, altro storico di valore, dal titolo “45 milioni di antifascisti”, dal sottotitolo ancor più esplicito “Il voltafaccia di una nazione che non ha fatto i conti con il Ventennio”, rende in modo evidente come da fascisti convinti o quanto meno consenzienti, gli italiani siano diventati, improvvisamente, nel 1945, tutti antifascisti.

In conclusione, la parte, forse più interessante, a mio avviso, della conferenza di Rossotto è quella che egli ha dedicato alle modalità con le quali si è giunti, con fatica e con alcune intelligenti prese di posizione, negli anni 1944/1946, alla pacificazione del Paese, stremato dalla guerra “persa”, dai lutti, dalle distruzioni delle città e della stessa convivenza civile. La proclamazione della Repubblica nel 1946 e la sua successiva Costituzione nel 1948 sono ancor oggi le pietre fondanti della nostra bella seppur fragile democrazia.

Alessandro Re

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